Democrazia liberale a rischio senza riforma della giustizia

La tensione fra politica e magistratura diventa sempre di più simile a uno scontro al calor bianco. Si tratta di una tenzone fra poteri dello Stato il cui effetto non può che risultare devastante per il nostro sistema democratico e le sue regole fondamentali. Due eminenti storici del diritto, Neal Tate e Torbjöen Vallinder, in The global expansion of Judicial power, scrivono che è ormai in atto da decenni in tutto l’Occidente una “esiziale espansione del raggio d’azione dei tribunali e dei giudici a scapito dei legislatori e degli amministratori”. È difficile negare, però, il fatto che in Italia tali mutamenti abbiamo assunto un carattere particolarmente abnorme rispetto a quanto accaduto in altri Paesi. Infatti, per quanto ci si sforzi è improbabile rintracciare fuori dai nostri confini una trasformazione della figura del magistrato (in particolar modo se investito della funzione requirente) a tal punto da renderlo in alcune circostanze in grado di condizionare lo svolgimento della vita politica nei modi e nei tempi. La qual cosa è stata possibile a causa di una strana e perversa combinazione.

Da una parte, la classe politica conservatrice non ha mai avuto il coraggio politico di arginare con riforme efficaci (cosa che è accaduta regolarmente in altri Paesi occidentali) l’esondazionene del potere giudiziario, mentre dall’altra, una sinistra in crisi d’identità dopo il fallimento del comunismo ha creduto di trovare una nuova ragione politica nel populismo giustizialista. Un’idea fatta propria successivamente dal Movimento 5 stelle e ben compendiata dal famigerato slogan “onestà-onestà”. Di qui al passaggio del magistrato da “bocca della legge” a protagonista della scena politica il passo è stato breve. Quanto sia pericoloso per le sorti della democrazia liberale un simile mutamento dei rapporti fra legittimi poteri costituzionali lo ha bene ricordato il giudice della Corte suprema americana, Stephen Breyer, il 7 aprile 2021 nel corso della Scalia Lecture a Harvard. Egli disse che “se il pubblico vede i giudici come politici con la toga, la sua fiducia è destinata a diminuire. La legalità dipende dalla fiducia che le Corti siano guidate da princìpi giuridici e non dalla politica”. Non potevamo dire meglio.

Aggiornato il 04 luglio 2025 alle ore 10:02