Meloni alla Camera e al Senato: “Fiduciosi nella tregua”

Il Senato non è mai stato così pieno. Aula di Palazzo Madama gremita, con i banchi del governo al completo in vista delle comunicazioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo. La ministra delle Riforme, Elisabetta Casellati, è costretta a una sistemazione demergenza: una sedia aggiunta nella fila dei sottosegretari. Al centro del blocco di governo siede il sottosegretario Alfredo Mantovano, mentre al fianco della premier ci sono i ministri Antonio Tajani (Esteri), Tommaso Foti (Affari europei) e, ultimo ad arrivare in Aula, il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Durante gli interventi dell’opposizione – in particolare quello di Matteo Renzi – Meloni prende appunti con attenzione, scegliendo però di replicare soltanto alla senatrice del Movimento 5 stelle Mariolina Pirro. Quando la parlamentare attacca sul tema della parità di genere e della tassazione sui beni per l’infanzia, Meloni replica con un gesto netto, puntando l’indice e ribattendo: “lo avete fatto voi”.

A fine dibattito, la presidente del Consiglio prende la parola e sceglie un tono istituzionale, che punta a raffreddare lo scontro: “Non risponderò alle provocazioni, ad alcune falsità che ho sentito, io sono una persona che non si è mai sottratta a un dibattito politico anche aspro, continuo a ritenere che avremo ancora molto tempo per i toni da campagna elettorale, ma sono anche convinta che non sia questo il tempo, ma che ci sia bisogno di ragionare il più possibile insieme, e voglio ringraziare alcuni interventi dell’opposizione che vanno in questa direzione, in uno scenario complesso”. Sul Medio Oriente, Meloni ribadisce la posizione del governo italiano: “Se l’Iran rinunciasse al programma nucleare a fini militari libererebbe la regione da una palese minaccia per Israele e non solo”. A quel punto, osserva, “mancherebbe solo il cessate il fuoco a Gaza e un percorso serio verso una soluzione due popoli due Stati”.

Nel solco del G7 – dove l’Italia ha proposto una presa di posizione comune – la premier rilancia il ruolo dei Paesi arabi nella ricostruzione di Gaza: “All’indomani di un cessate il fuoco a Gaza la proposta italiana è che si debbano coinvolgere gli attori arabi, noi crediamo che per la ricostruzione di Gaza si possa il più possibile partire dal piano dei Paesi arabi”. Spazio anche al capitolo difesa, con un passaggio dai toni marcatamente atlantisti: “Io la penso come i romani, si vis pace para bellum: quando ti doti di una difesa non lo fai per attaccare, la pace è deterrenza, se si hanno dei sistemi di sicurezza e difesa solidi si possono più facilmente evitare dei conflitti, è quello che dicevo ieri citando Margaret Thatcher, i nostri valori non si difendono da soli perché sono buoni e per cause giuste ma si difendono se abbiamo una difesa adeguata”. Il governo intende concentrare gli investimenti militari su filiere italiane ed europee, ma senza escludere l’apertura agli alleati. “Io sono perché le spese prioritariamente, anche esclusivamente quando è possibile vadano ad aziende italiane ed europee, ma quando non è possibile si lavora con gli alleati. Non sono per chiudere come alcuni che lo fanno perché sono avvantaggiati”.

LE COMUNICAZIONI DI MELONI ALLA CAMERA

Sulla Camera, invece, Meloni ha scelto toni più cauti ma non meno determinati. Il quadro, ha detto, è “grave” e impone una sospensione dellepolemiche” a favore di un confronto. Ha confermato di voler mantenere e “ampliare” il canale aperto con la segretaria del Partito democratico Elly Schlein dopo gli attacchi americani all’Iran, che secondo la premier “hanno aggravato la crisi che coinvolge” Teheran e Israele, in un momento in cui ancora non si parlava di tregua. Meloni ha chiarito che l’Italia non è coinvolta militarmente, e non ha ricevuto alcuna richiesta di utilizzo delle basi sul territorio per operazioni in Iran. Tuttavia, ha voluto precisare che “se mai dovesse arrivare una richiesta dall’alleato statunitense, l’utilizzo delle basi italiane per interventi in Iran passerebbe comunque per il vaglio delle Camere”. E ancora: “Posso dire che penso che non accadrà ma posso garantire che una decisione del genere dovrà fare un passaggio parlamentare, a differenza di quello che è accaduto quando al governo non c’eravamo noi”. Una precisazione che non basta all’opposizione, con Elly Schlein e Giuseppe Conte che chiedono una garanzia esplicita: che “l’Italia non entrerà in questa guerra”. E nemmeno convince la posizione sull’intervento israeliano a Gaza, che per la premier “sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili”.

Infine la presidente del consiglio ha difeso l’adesione dell’Italia al nuovo target Nato sulle spese militari, citando la trattativa che ha permesso di estendere al 2035 lorizzonte temporale. “Gli impegni sono uguali per tutti, non c’è alcuna differenza tra quelli assunti dall’Italia e dalla Spagna”, replica a chi la confronta con Pedro Sánchez. Obiettivo, spiega, è garantire obiettivi “chiari, trasparenti e sostenibili”, evitando “disparità di trattamento” nei confronti di Paesi – come l’Italia – già sottoposti a procedura per deficit eccessivo.

LA MOZIONE DEI 5 STELLE SPACCA LA SINISTRA

A margine del dibattito, esplode una nuova frattura nel campo largo. Alla Camera, la mozione del M5s – che propone di non escludere “a priori e pro futuro una possibile collaborazione con la Russia” sulla fornitura di gas in caso di escalation in Iran – spacca il fronte progressista. Pd e Alleanza Verdi-Sinistra hanno preso le distanze dalle dichiarazioni pentastellate. “Lo trovo irricevibile”, scrive il senatore dem Filippo Sensi. E rincara Carlo Calenda di Azione: “Una risoluzione vergognosa, il Pd deve prendere atto che non può esserci un’alleanza con chi, sulla Russia, ha una linea identica a quella di Matteo Salvini”.

Altro punto divisivo è la richiesta grillina di “interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento alle autorità governative ucraine”. Il Pd, al contrario, ha ribadito l’impegno a “continuare a garantire pieno sostegno e solidarietà al popolo e alle istituzioni ucraine”, posizione confermata dalla stessa Schlein in Aula. Resta dunque il dissenso strutturale, ormai su due piani: l’invio delle armi a Kiev e il possibile riavvicinamento energetico a Mosca. Una frattura che, al di là dei voti, indebolisce ulteriormente la prospettiva di un fronte compatto all’opposizione.

Aggiornato il 24 giugno 2025 alle ore 17:25