
Eccoci di nuovo con la mia modesta e umile analisi del voto referendario. Non è mia intenzione discutere il merito dei quesiti referendari, che ormai vengono utilizzati dalle forze di opposizione e da alcuni sindacati solo per un uso strumentale contro il Esecutivo, come strumento di pressione politica contro il “Governo dei cittadini”. Questo fallimento del quorum referendario pari al 28 per cento, ha un costo di circa 400 milioni di euro a carico degli italiani per l’allestimento dei seggi, della stampa delle schede e del materiale elettorale, e dei compensi agli scrutatori. Senza contare che i promotori del referendum, in base alla legge 157 del 3 giugno 1999 avrebbero incassato un euro per ogni firma e tutto a carico dei cittadini italiani. Spendo solo un’altra parola per affermare, come sempre fatto da vent’anni a questa parte, che l’uso del referendum rappresenta una sconfitta, una sconfessione, degli impegni, dei doveri delle capacità di tutto il Parlamento italiano, che invece di fare leggi, compito per cui deputati e senatori sono pagati dai cittadini italiani, diventano attivisti membri dei comitati referendari. Intendo, a differenza dei più accreditati politologi e da nessuno di questi però sollevato, fare una riflessione personale.
Appare doverosa una considerazione politica e morale sui referendum, in quanto, almeno in Italia, per la sua stessa conformazione, rappresenta uno specchietto per le allodole, rivelandosi una misura dispendiosa e purtroppo inutile. Lo strumento del referendum è attualmente vigente in maniera del tutto depotenziata nel nostro Paese, dove ne esistono tre tipologie: abrogativo, costituzionale e territoriale. Manca in sostanza, la possibilità di “decidere qualcosa” in concreto, cosa che si potrebbe realizzare introducendo il cosiddetto “referendum propositivo”. Già. Il referendum, per avere un minimo di senso, dovrebbe essere propositivo. Il referendum propositivo è uno strumento di democrazia diretta con cui gli elettori possono letteralmente sostituirsi al legislatore, sostenendo e promuovendo iniziative concrete. Il problema è che gran parte degli eventi diritti al voto, secondo chi critica, non ha le competenze per esprimersi a ragione su determinati temi e potrebbe decidere semplicemente in base all’istinto o alle indicazioni del suo partito, prestandosi così a iniziative sconsiderate, frutto di campagne demagogiche, ma, è qui il paradosso, non sembra, almeno a parere di chi scrive, che la gran parte di rappresentanti chiamati a svolgere le funzioni istituzionali, abbiano essi stessi grosse competenze in materia. Non è più il tempo in cui la politica era fatta da statisti veri, profili di alto livello e dal bagaglio di competenze importanti. Il tema delle non competenze in capo al popolo non regge più perché le competenze mancano anche ai piani alti.
Semmai, sono le attuali regole che disciplinano i referendum ad essere discutibili, c’è uno squilibrio numerico: da un lato, per proporlo basta raccogliere 500mila firme, dall’altro, però, lo stesso non passa se non affluisce alle urne il 50 per cento più uno dei votanti, che è un quorum ormai anacronistico rispetto ai numeri attuali e, per di più, offre uno strumento determinante al partito detrattore del referendum che invece di incitare il proprio elettorato a votare “no”, lo invita semplicemente a restare a casa (scelta comoda per l’elettore e quindi ancor più appetibile), boicottando di fatto l’intera iniziativa. C’è da chiedersi, dunque, se non sia al caso di introdurre un referendum propositivo, opportunamente calibrato in maniera da evitare usi distorti e troppo frequenti (allo stesso tempo eliminando il quorum minimo dei votanti), per rafforzare la voce del popolo e dare allo stesso uno strumento più incisivo rispetto alla mera possibilità di abrogare norme o eleggere i propri rappresentanti. Ovviamente, limitando le questioni da trattare con tale strumento, che rappresenta comunque un extra, a tematiche di primo impatto, basta citare a tal proposito argomenti come l’aborto o il divorzio, per comprendere.
(*) Vicepresidente della Corte di giustizia tributaria di Roma e di Latina
Aggiornato il 12 giugno 2025 alle ore 09:46