
Tra i tanti divieti imposti dal decreto sicurezza ci sono quelli di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, in qualsiasi forma. I prodotti a base di infiorescenze di canapa, anche al di sotto dei limiti riconosciuti come sostanze psicotrope, sono quindi equiparati agli stupefacenti. L’unico uso consentito è la produzione agricola di semi per gli usi consentiti dalla legge. La violazione di tali divieti configurerà il reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, punito - di base - con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da 26.000 a 260.000 euro, oltre alle sanzioni amministrative.
Nel 2016, è stata approvata una legge che ha permesso la coltivazione e la commercializzazione di varietà di canapa con un contenuto di sostanza attiva psicotropa (Thc) nei limiti (precauzionali) di legge. La canapa, infatti, non è solo la materia prima degli spinelli, ma anche di prodotti alimentari, cosmetici, farmaceutici, tessili e di altro uso meno noto, ad esempio come fonte di energia e materiale utilizzabile nel settore edilizio.
L’applicazione della legge del 2016 è stata molto incerta e le sentenze hanno fatto emergere questioni interpretative di non poco conto. La penalizzazione appena introdotta, però, taglia con l’accetta quella che la Corte costituzionale ha definito “una grande riforma economico-sociale”.
Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, il settore del fiore di canapa genera nel nostro paese un volume d’affari diretto di quasi un miliardo l’anno e un altro indiretto, per un impatto occupazionale di circa 23.000 posti di lavoro.
C’è un problema però più generale e profondo di quello economico.
Ci sono moltissime attività vietate, perché ritenute pericolose per le più varie ragioni, comprese quelle socio-sanitarie. Spacciare droga, ad esempio. Ma lo stesso legislatore che oggi equipara la commercializzazione di prodotti a base di infiorescenze di canapa alla droga è quello che ha distinto, assumendo i dati medico-scientifici, tra prodotti alteranti e non alteranti lo stato psicofisico, in base alla quantità di Thc. Dunque, lo stesso legislatore che ha riconosciuto che al di sotto di un dato limite di Thc non vi sono rischi stupefacenti, ai fini penali ignora questa distinzione e equipara ogni prodotto, al di là della quantità di sostanza attiva psicotropa, a una droga. E lo fa proprio assumendo la pericolosità indistinta dei prodotti.
La criminalizzazione appena approvata, infatti, vieta qualsiasi uso con lo scopo, si legge, “di evitare che l’assunzione di prodotti costituiti di infiorescenza della canapa o contenenti tali infiorescenze possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza e l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale”.
C’entra poco la precauzione: sarebbe come vietare la tombola in parrocchia per timore che sia il primo passo verso le bische clandestine.
(*) Tratto dall'Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 09 giugno 2025 alle ore 14:49