Referendum sul lavoro: l’astensione è un diritto ed è utile

Se i costituenti hanno previsto il quorum nei referendum abrogativi è proprio perché essi volevano consentire agli elettori di esprimere il proprio dissenso anche rifiutando la scheda per il voto

Domenica e lunedì gli italiani saranno chiamati a pronunciarsi su cinque quesiti referendari: quattro sul lavoro e uno sui requisiti per ottenere la cittadinanza. Quelli sul lavoro, in particolare, hanno l’obiettivo di smontare ciò che è rimasto del Jobs Act, dopo innumerevoli interventi normativi e sentenze della Corte costituzionale che ne hanno già ampiamente ridimensionato la portata.

In particolare, i quesiti riguardano il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo, la determinazione del limite massimo all’indennità in caso di licenziamento illegittimo nelle piccole imprese, l’obbligo di motivazione nei contratti a termine inferiori ai dodici mesi e la responsabilità solidale del committente. Nella sostanza, i referendum sul lavoro ripropongono le vecchie tutele difensive del tempo in cui i lavori erano tutti subalterni e ripetitivi. Se vincessero i sì, cambierebbe poco delle disposizioni vigenti. Nondimeno, si invertirebbe una direzione di marcia: quella che ha condotto agli attuali alti tassi di partecipazione al lavoro e bassi tassi di disoccupazione. È singolare che questo dibattito si attivi nel momento in cui il mercato del lavoro segna risultati record: il numero di occupati e di ore lavorate continua ad aumentare, il part time scende a vantaggio dell’occupazione a tempo pieno, i contratti a termine si riducono a favore di quelli a tempo indeterminato e le false partite Iva sono in calo da tempo, come ha avvertito il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta.

I promotori dei quesiti ripropongono vecchi modelli ideologici e non guardano alle sfide che attendono il mercato del lavoro. Oggi non bisogna scoraggiare la propensione ad assumere per evitare la sostituzione dei lavoratori con le tecnologie intelligenti. Servono inoltre le tutele attive del continuo investimento formativo e di una retribuzione premiante il maggiore impegno del lavoratore. La stessa sicurezza nel lavoro non si migliora chiedendo al committente l’impossibile, ovvero di rispondere solidalmente anche per i rischi inerenti la specifica competenza dell’appaltatore. Questo non significa che non vi siano segnali preoccupanti nell’economia italiana: la crescita dell’occupazione in un contesto di stagnazione del Pil mostra un declino della produttività. Ma questo problema non può certo essere risolto irrigidendo il mercato del lavoro: al contrario, occorre rimuovere lacci e lacciuoli che impediscono il dinamismo imprenditoriale e l’innovazione.

Se dunque la vittoria dei referendum rischia di danneggiare l’economia e gli stessi lavoratori senza produrre benefici, allora la strategia razionale per impedire che ciò accada è l’astensione, almeno sui quattro quesiti sul lavoro. Se i costituenti hanno previsto il quorum nei referendum abrogativi (diversamente da quelli costituzionali, che sono validi a prescindere dall’affluenza) è proprio perché essi volevano consentire agli elettori di esprimere il proprio dissenso non solo votando “no”, ma anche rifiutando la scheda per il voto.

È alla luce di queste considerazioni, oltre che delle riflessioni svolte all’interno del laboratorio sul mercato del lavoro Reinventing Work, che si può concludere che i referendum sul lavoro sono dannosi, e che il modo migliore per scongiurarli è l’astensione.

Aggiornato il 05 giugno 2025 alle ore 15:35