
Da giorni, la sinistra ripropone il solito copione: “Non votare è un tradimento della democrazia”, “l’astensione è una fuga”, “il centrodestra ha paura del confronto”. Sono argomentazioni che non reggono. E lo sanno anche loro. Chi oggi si straccia le vesti per difendere il sacro referendum è lo stesso che, nel 2003, ha fatto campagna attiva per l’astensione sul referendum riguardante l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. A guidare quella linea c’erano proprio i Democratici di sinistra, con il segretario Piero Fassino che dichiarava: “Il referendum è dannoso; la cosa giusta è renderlo inutile non partecipando al voto”. Il centrosinistra, all’epoca, temeva che una vittoria del sì potesse alterare gli equilibri interni e le mediazioni raggiunte con i sindacati confederali. Così, scelse la via più comoda: disertare le urne. Altro che partecipazione. Altro che “dovere democratico”. Il problema non è mai stato il metodo, ma il risultato. Quando rischiano di perdere, la parola d’ordine è “state a casa”. Quando sperano di vincere, l’astensione diventa improvvisamente un atto eversivo. Eppure, la verità è semplice: astenersi da un referendum è un diritto, ma anche una scelta politica legittima e spesso vincente. Non basta dire “no” sulla scheda. È necessario far fallire il referendum impedendo che raggiunga il quorum.
Questo è previsto dalla legge ed è parte integrante del gioco democratico. Se un referendum non ha una base popolare solida, è giusto che venga fermato così. Il quesito che ha ottenuto maggiore visibilità è quello sulla cittadinanza. Ed è comprensibile: è il cavallo di battaglia di chi intende alterare l’identità giuridica (e non solo) del nostro Paese. Tuttavia, paradossalmente, non è nemmeno il quesito più problematico. I veri rischi derivano dai quesiti sul lavoro, che mirano a ristabilire rigidità e blocchi, ostacolando la capacità delle imprese di adattarsi e dei lavoratori di trovare soluzioni flessibili. Se questi passassero, danneggerebbero l’occupazione, creando un mercato più rigido. I referendum dell’8 e 9 giugno sono promossi dalla solita sinistra radicale con il sostegno dei sindacati. Non rappresentano l’interesse della maggioranza dei cittadini, ma piuttosto una nicchia ideologica che cerca di trasformare battaglie politiche perdenti in leggi attraverso la scorciatoia del referendum. E allora sì, l’astensione diventa la risposta più efficace, più intelligente, più democratica. Chi si astiene non è disinteressato. È strategico. Rifiuta la trappola di un dibattito falsato, rifiuta di dare legittimità a quesiti ambigui e ideologici. Rifiuta di prestarsi all’ennesimo teatrino mediatico della sinistra. Vogliono un plebiscito sul loro modello di società, e noi diciamo no. Ma non con il loro linguaggio, non con le loro regole. Lo diciamo con il silenzio delle urne vuote. Un silenzio che pesa più di mille slogan.
Aggiornato il 14 maggio 2025 alle ore 09:40