
È scomparso lo scorso 6 maggio all’età di 88 anni lo scienziato politico americano Joseph S. Nye. Poco se ne è parlato per il fatto che gli occhi del mondo intero erano puntati su piazza San Pietro in attesa del nome del nuovo Pontefice. Nye è stato uno dei consiglieri per la sicurezza nazionale più ascoltati alla Casa Bianca sia durante la Presidenza di Bill Clinton che negli anni dell’Amministrazione di Barack Obama. Le sue analisi hanno sempre occupato un posto di rilievo nell’agenda politica dei Democratici, ma venivano attentamente studiate anche dall’establishment dei Repubblicani. Nye non sacrificò, però, mai la ricerca scientifica per l’impegno politico. Del resto, fu l’instancabile attività di ricercatore presso la Harvard Kennedy School of Government (dove insegnò per tutta la vita) che lo portò ad elaborare l’originale concetto noto come soft-power: un modus operandi sullo scacchiere internazionale mai trascurato nei passaggi politici più delicati sia da Clinton che da Obama.
Il professore era profondamente convinto che, in un mondo in cui le distanze − non solo geografiche − fra i diversi Paesi si fossero ridotte come mai era accaduto nella storia, risultava di gran lunga più vantaggioso per tutte le potenze raggiungere la stabilità internazionale attraverso l’esercizio del potere d’influenza in luogo della mobilitazione degli eserciti (hard-power). “Per realizzare ciò − chiariva − servono valori, simboli culturali e ideali politici che possano essere esportati e condivisi”. In ragione di tale intuizione, egli sosteneva che la Cina − nonostante la crescente affermazione economica − non avrà alcuna possibilità di sostituire gli Stati Uniti presso i Paesi europei a causa di una profonda e antica diversità culturale. Nye, in un momento successivo affinò la sua teoria introducendo il concetto di smart-power.
Esso si caratterizza per mezzo del bilanciamento del soft-power (il potere di attrazione) con l’hard power (il potere di coercizione) a seconda delle circostanze storico-strategiche. Agli analisti che parlavano di declino americano, il “consigliere dei presidenti” replicava citando quanto accadde nella comunità dei Puritani dopo la fondazione della Colonia della Baia del Massachusetts nel XVII secolo. “Già nei carteggi dell’epoca − spiegava − si evince una certa preoccupazione circa la perdita delle antiche e nobili virtù e si teme l’arrivo di un pericoloso declino”. Del resto, un noto periodico newyorkese nel 1979 mise in copertina la Statua della Libertà in lacrime, per rimarcare quanto profondo e imminente fosse il tramonto statunitense. Il professore non nutriva dubbio alcuno sul fatto che gli Stati Uniti fossero destinati a svolgere un ruolo di primo piano anche nel Ventunesimo secolo. Ultimamente non c’era intervista che concedesse senza ribadire che “l’America non ha bisogno di diventare di nuovo grande. È già un grande Paese democratico”.
In un periodo di grandi turbolenze internazionali, il silenzio di Joseph S. Nye si farà sentire. Eccome.
Aggiornato il 12 maggio 2025 alle ore 12:10