
Partendo dalla democrazia elettorale come si è giunti oggi alla sua nemesi “elettiva”, sul modello della repubblica dei probiviri? Nel senso che se il vincitore delle elezioni a suffragio universale è privo di pedigree democratico, vidimato dalla Casta politico-mediatica, allora va doppiamente squalificato. Il matto in due mosse procede, in primis, attraverso un processo di diffamazione, in modo tale che il candidato scomodo risulti agli occhi dell’opinione pubblica indegno dell’ufficio (tipo: presidente della Repubblica, deputato, senatore, sindaco) per il quale ha concorso, o intende concorrere, con procedure democratiche. Per concludersi in un secondo tempo con una pronuncia giudiziaria di condanna, tale da rendere quello stesso leader ineleggibile per un secondo tentativo.
Così sta accadendo per gli esponenti di Alternative für Deutschland e per il romeno George Simion, leader di Aur (Alleanza per l’Unità dei Romeni), che ha vinto con il 41 per cento il primo turno delle elezioni romene, ed è in attesa di ballottaggio per il prossimo 18 maggio. Volendo approfondire la questione, è utile partire da quest’ultimo caso. Nel novembre 2024 la Corte costituzionale romena aveva annullato le elezioni presidenziali, vinte al primo turno dal filo putiniano Călin Georgescu, per fondati sospetti di manipolazione del voto da parte russa, con l’utilizzo di bot (creature digitali e sofisticate dell’Ia, che simulano falsi profili social) e mass-message per influenzare la pubblica opinione romena. Georgescu non si è potuto ripresentare alle attuali presidenziali di maggio per l’interdizione stabilita dalla Corte stessa con sentenza successiva ma, in compenso, potrebbe essere nominato primo ministro qualora Simion divenga il nuovo presidente della Repubblica.
Proprio il caso rumeno ha offerto un’occasione d’oro a J.D. Vance che, nel corso della Conferenza di Monaco sulla sicurezza di febbraio 2025, aveva preso le mosse dall’invalidazione per via giudiziaria dello scrutinio romeno, per denunciare l’ipocrisia di un’Europa che si vuole democratica ma è incapace di garantire la libertà d’espressione, e teme come la peste il voto a suffragio universale. Questo stratagemma per superare la bocciatura giudiziale di Simion, nominandolo a capo del futuro Esecutivo, era già stata utilizzata per le presidenziali del Senegal, in cui i giudici avevano impedito al popolarissimo leader Ousmane Sonko di presentarsi alle elezioni. Aggirando il divieto, il suo partito Pastef, dei Patrioti africani senegalesi, aveva allora mandato in prima linea un suo fedelissimo, Faye Bassirou, eletto al primo turno con il 54 per cento dei voti che poi, guarda caso, aveva nominato premier proprio Sonko. Risultato? L’elettorato senegalese ha confermato successivamente il ticket Sonko-Bassirou alle successive elezioni legislative del novembre 2024, dando con il 54 per cento dei voti una schiacciante maggioranza parlamentare al Pastef.
Lo stesso fenomeno dell’elettorato che si rifiuta di farsi imporre per via giudiziaria per chi sia giusto votare e per chi no, lo si è visto molto più amplificato nel caso americano della persecuzione giudiziaria nei confronti di Donald Trump che, nel periodo pre-elettorale, non ha fatto che crescere nei sondaggi, fino alla schiacciante vittoria del novembre 2024. In Francia ci si è provato di nuovo, dichiarando per via giudiziaria l’ineleggibilità di Marine Le Pen (che ha fatto appello sperando in una sentenza entro il 2026), sicura vincitrice, stando ai sondaggi, delle future elezioni presidenziali fissate per il 2027, con il bel risultato che il suo delfino, Jordan Bardella, è dato di ben 14 punti avanti al candidato macroniano!
Non si sa se per dispetto o per sfinimento, l’elettorato europeo degli ex Paesi socialisti, fedeli alleati dell’Urss, si sta progressivamente spostando su posizioni sempre più filo putiniane e sovraniste (basta ricordare che l’AfD è di gran lunga il primo partito nell’ex Germania dell’Est comunista), come accade per Ungheria e Slovacchia, mentre l’Italia è un caso a parte, grazie all’abilità di Giorgia Meloni di rimanere saldamente ancorata a Bruxelles e Washington con un’accorta politica delle alleanze e delle relazioni internazionali. Sulla scia di Meloni, tra l’altro, intenderebbe collocarsi lo stesso Simion, probabile vincitore delle presidenziali romene. Ora, come si può dire a questo elettorato che ha scelto di votare a destra che sta sbagliando, e si tenta in tutti i modi di invalidare per opera dei giudici i risultati elettorali “sgraditi” al mainstream? Tanto più che la maggioranza di quegli elettori di destra non intende uscire dall’Unione, memore di come i suoi generosi fondi strutturali abbiano permesso in passato a Nazioni depresse economicamente, come Ungheria, Polonia, Grecia, Spagna e Portogallo di affrancarsi dalla povertà e di divenire dei Paesi prosperi. Di certo, la volontà di quegli stessi elettori è di mantenere il proprio carattere nazionale, in opposizione alle strategie di Bruxelles orientate alla creazione i un’Europa federale iper-burocratizzata.
Buonsenso vorrebbe che nessuno si permettesse di dire a una Nazione libera che non può discriminare o respingere i migranti sulla base delle loro origini e credenze religiose, sebbene questa scelta sia d’importanza vitale per l’avvenire della sua società. Perché, impedendo alle collettività nazionali l’esercizio di questo diritto si creano ghetti autoriferiti di migranti (vere e proprie forme illegali di Stato nello Stato), con leggi e tribunali propri, come succede nel caso di non poche comunità musulmane presenti nelle città europee. Lo spirito democratico (che forse l’Europa non possiede più) dovrebbe, al contrario, garantire il rispetto dei sentimenti nazionali, senza fare del “dirittismo” una sorta di livella politico-giudiziaria per spianare qualsiasi forma di opposizione politica non gradita. Occorre, cioè, prendere atto del totale fallimento del mito globale del multiculturalismo, multilateralismo e omologazione alla formula astratta del “Diritto”, con cui si intendeva rimodellare il destino dei popoli, cancellandone le identità, la cultura e la diversità etnico-culturale. È bene, cioè, prendere atto che più dei quattro quinti dell’umanità (che si riconosce nella nebulosa del Global South) e buona delle opinioni pubbliche occidentali si chiamano fuori dal decantato “ordine mondiale” post 1945!
Aggiornato il 08 maggio 2025 alle ore 10:25