Il referendum è un problema per il Pd

Tra poco ricorrerà l’anniversario di quando il Partito democratico si è detto unito su qualcosa. Prima il riarmo, poi i cinque quesiti su lavoro e cittadinanza. Il referendum promosso dalla Cgil di Maurizio Landini è stato fissato per l’8 e 9 giugno prossimi, in concomitanza con gli eventuali ballottaggi dei comuni al voto il 25 e 26 maggio, fra cui Genova, Ravenna e Taranto. È stata l’ala riformista del Pd a smarcarsi dalle indicazioni della segretaria Elly Schlein, che avrebbe voluto che tutti i suoi votassero in toto i quesiti del tovarišč Landini. Ma “non c’è una posizione coordinata”, hanno fatto sapere i riformisti che comunque non andranno al mare. “Ognuno si esprimerà liberamente”, hanno spiegato, come fossero un gruppo di amici e non parte di uno dei principali partiti politici italiani. E nel liberi tutti di questa frazione del Partito democratico c’è anche l’opzioneNo” o scheda bianca, che fa il gioco proprio della maggioranza di governo che punta sul fattore astensione per il non raggiungimento del quorum.

Tant’è, il messaggio ufficiale dei riformisti resta: “Nessun boicottaggio, andremo a votare”. I due” riguardano il referendum che riduce da 10 a 5 gli anni di residenza in Italia per ottenere la cittadinanza e quello per introdurre la responsabilità dell’impresa committente in caso di infortuni ai lavoratori di una ditta in appalto. Alessandro Alfieri, coordinatore dell’area Energia popolare guidata da Stefano Bonaccini, ha ammesso che serve “un tagliando al jobs act, ma io penso che, per poterlo affrontare, la strada maestra sia il Parlamento”, ha spiegato il senatore. E Matteo Renzi, il padre (lit) del jobs act, ha spalancato il portone di Italia viva ai riformisti del Pd. “Noi vogliamo costruire una coalizione in cui il peso delle nostre idee conti. Senza di noi si perde, lo abbiamo visto. E non perché noi siamo chissà che. Ma perché una coalizione eccessivamente spostata a sinistra è la migliore alleata possibile di Giorgia Meloni”, ha ragionato l’ex premier dell’allora Partito democratico.

Mentre, per quanti in area progressista stanno condannando le parole delle Istituzioni riguardo il referendum – e il loro invito all’astensioneci pensa Il Tempo a ricordare come tanti grandi politici (non solo di statura) di sinistra abbiano usato al tempo la non partecipazione ai quesiti referendari come azione politica. Giorgio Napolitano, in un’intervista a La Repubblica dell’aprile 2016, prima del voto sulle estrazioni di idrocarburi, aveva detto che “se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza delliniziativa referendaria”, confermò l’ex presidente della Repubblica. E poi, andando indietro nel tempo, è spuntata fuori una campagna de La Quercia del 2003 che recita: non votare un referendum inutile e sbagliato è un diritto di tutti lavoratori e non.

Aggiornato il 07 maggio 2025 alle ore 13:50