Scriviamo il nuovo Codice civile: osare per innovare

Appello al governo e alle forze politiche per un nuovo Codice civile al passo con le tecnologie e i diritti sopravvenuti.

Consapevole del rischio dell’impresa che proporrò. Consapevole d’incassare – per poi magari veder cassare – fiumi di critiche, come giurista e come giornalista riformisticamente attivo, rivolgo un appello al governo e a tutte le forze politiche che hanno a cuore l’ulteriore corso della storia che possiamo scrivere, insieme. In questo tempo neorepubblicano nonché neocostituzionale, tra conservazione e innovazione, dovremmo codificare nuovamente il diritto civile.

Scriviamo il nuovo Codice civile.

Dai fondali delle sinistre più rosse mi censurerebbero, forse. Direbbero che la ricodificazione del diritto civile potrebbe farsi e che anzi sarebbe il caso di farla poiché il codice attuale fu emanato all’inizio degli anni ’40 del Novecento, in pieno regime fascista, ma per nulla al mondo avvierebbero adesso i lavori, ai tempi in cui il partito politico d’Italia più in alto nei sondaggi è Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni presidente del Consiglio dei ministri. Le sinistre più rosse opporrebbero al mio appello tutto il loro pregiudizio contro questo governo di destra-centro. Sbaglierebbero: accecati dal rosso denso o sbiadito delle loro ideologie o post-ideologie, non vedrebbero la luce dell’opportunità di riunirsi attorno ad una commissione per declinare al presente tutto il peso di una tradizione giuridica. Dagli anni ’40 dello scorso secolo ad oggi, infatti, si è andato arricchendo in modo sparso, via via, un magma normativo complementare che necessita di solidificarsi in un nuovo Codice civile.

Non solo i giuristi pratici e gli operatori economici, ma gli stessi cittadini destinatari in quanto tali della legge codificata a sistema, devono impiegare tanto tempo – troppo – per comporre i pezzi di ciò che vige nel nostro ordinamento. Il cittadino, ma anche il giudice e l’avvocato sono immersi nel bel mezzo di oceaniche legislazioni complementari. Intanto la realtà si evolve, e i diritti seguono (o inseguono) le tecnologie.

Il centrodestra non avrà paura di avviare studi e lavori per un nuovo Codice civile. Non temerà le probabili critiche per le consonanze storiche della codificazione: vari giornali titolerebbero con manierismo antistorico e ipocritamente anacronistico sulla coincidenza tra la destra attuale che codifica e il regime fascista, alla cui epoca il Codice civile ancora in vigore risale. Il centrodestra non deve temere questi titoli. I patrioti della destra-centro esercenti le più alte funzioni di direzione politica della cosa pubblica, infatti, devono osare per il bene di tutti e di ciascuno, giacché nei fatti e con i fatti si dimostrerebbe, ancora una volta, che nulla vi è da spartire tra il governo Meloni e l’inizio degli anni ’40 del politragico Novecento.

Consapevoli tutti del grande lume razionale, tecnico-giuridico ed empirico dei fervidi maestri della civilistica che, al netto del triste sistema corporativo di quell’epoca, fecero grande quel codice, e mi riferisco per esempio al giurista Emilio Betti, è giunto il tempo di osare per codificare, nuovamente, il diritto. L’elemento conservativo della tradizione civilistica è fondamentale, poiché conservare la grande metodologia delle fatiche scientifiche di quei tempi potrà recare al nostro tempo, nel suo (nostro) divenire storico e dialettico, il progresso di un nuovo codice più calzante alle sfide che ci attendono. Un Codice civile che sappia rispondere più utilmente alla nuova vita sociale ed economica, culturale e tecnologica, con le sue (con le nostre) complessità.

Si garantirebbe più certezza ai privati nelle proprie relazioni giuridicamente rilevanti della nuova èra, con un nuovo Codice, e i giuristi pratici avrebbero meno problemi interpretatiti nel ricondurre i fatti dell’attualità all’interno delle fattispecie civilistiche. Le fattispecie civili attualmente in vigore, infatti, pur nella propria generica e astratta riconducibilità alla vita socioeconomica e personologica dei tempi successivi agli anni ’40 del secolo scorso, non sono al passo (nemmeno eventuale) dei problemi che la civiltà digitale, internet o le economie capitalistiche tipiche della nostra era post-globalizzata pongono quotidianamente. Non da ultimo, a fronte di tutti gli anzidetti benefici dovremmo auspicabilmente celebrare processi civili meno problematici, con minori rischi di abusi giudiziari e con minori interpretazioni ondivaghe da parte dei togati.

Già le sedimentate conquiste storiche, dalle più datate alle più recenti, richiedono una sistemazione più appropriata all’interno di un nuovo Codice civile: dal diritto al divorzio risalente al 1970 al diritto bancario del testo unico del 1993, dal diritto dei consumatori del 2005 alle unioni civili del 2016. Le nuove sfide delle intelligenze artificiali, da liberalizzare giuridicamente e in senso antropocentrico nei vari campi dei diritti della personalità o dei diritti della contrattualistica in generale, o dei diritti impresari e societari, richiedono un nuovo Codice civile. Interpolare gli articoli con i bis, ter e quater, o allungare il brodo di quelli vigenti, non renderà al cittadino un diritto oggettivo al passo coi peculiari tempi, chiaro, funzionale alla risoluzione o alla prevenzione delle liti fra privati.

Il Codice civile attualmente in vigore è stato sì più volte rivisitato e riformato, e ad esso si è aggiunta una mastodontica quantità di leggi nei vari settori, e la stessa Costituzione repubblicana – cronologicamente sopravvenuta alcuni anni dopo, successivamente alla sconfitta del fascismo – ha rivoluzionato in parte l’interpretazione di quel codice. Ma questo giuoco di interpretazioni avanti e indietro non è sufficiente per raggiungere i nuovi orizzonti demolibertari e sociali che ci aspettano e ci spettano, come cittadini e come giuristi in uno Stato di diritto in continua evoluzione.

Vedrei già pronti coloro che direbbero che il governo rifà il codice come il fascismo nella sua fase più autoritaria fece il suo Codice civile. Tuttavia, se il governo accettasse questa mia proposta sfidante e performante di transizione ricodificatoria nel diritto civile, per renderlo più funzionale ad una giustizia civile più certa, più celere e per una vita economica più libera e giusta, non avrebbe bisogno di un avvocato difensore di fronte al tribunale della storia. Ricodificando ciò che negli anni più bui del fascismo venne codificato, prenderebbe le distanze nei fatti – senza bisogno di chiacchierarci sopra – da quel ventennio dittatoriale, come già ha fatto, ed in particolare dalla fase più nefasta di quel ventennio.

Non sarebbe un problema ascoltare e rispondere alle critiche provenienti da più parti. Certamente quelle risposte sarebbero meno faticose rispetto all’invito da fare ai giovani laureati in Giurisprudenza, che dovrebbero mettersi subito sul nuovo codice, a studiare! Ma i giovani aspiranti giuristi in formazione si abituerebbero a quella che da sempre è la vita professionale nel mondo del diritto, una vita sempre aperta allo studio del nuovo, cosciente e irrobustita dallo studio delle fonti giuridiche precedenti.

Tornando alla dimensione politica, chissà, la parte più liberale delle opposizioni attuali potrebbe proporre d’inserire nell’azione ricodificatrice tratti linguistici e specificazioni che rendano più plastica la parità di genere. D’altronde un Codice civile è un testo giuridico di portata sub-costituzionale sì, al livello di gerarchia tra le fonti del diritto nel nostro ordinamento, ma comunque di portata paradigmatica e sistemica. La storia delle codificazioni euro-continentali, infatti, lo insegna.

Fortezza centripeta e centrifuga di civiltà attraversata dai fasti civilistici del diritto romano, fucina di coraggio nel perpetuare le buone tradizioni innovandone le azioni: la patria italeuropea, senza paura, in questa auspicabile nuova codificazione del diritto potrà ispirarsi a quel “ricorda di osare sempre” del grande poeta stramaledettamente vate Gabriele D’Annunzio, o a quel sempre verde “abbi il coraggio di conoscere!” di Orazio, ripreso tanti secoli dopo dal razionalismo illuminato di Kant.

Portando ad unità le apparenti contraddizioni culturali delle nostre radici italiane, e facendo di quella unità un paradigma per il nostro coraggio riformatore, tra conservazione e innovazione, “rischieremmo” di dar lustro alla nostra patria liberale. Il lustro, così come i progressi civici, valgono il rischio di provarci. Serve un nuovo codice che regolamenti chiaramente le conseguenze dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa nella contrattualistica, nel diritto d’autore, nel sistema della responsabilità civile. Serve un nuovo codice che approfondisca le libertà testamentarie e l’autonomia patrimoniale legalizzando espressamente la diseredazione. Serve un nuovo codice che regolamenti chiaramente i diritti digitali, gli smart contracts, l’identità digitale nell’autonomia contrattuale e nei trasferimenti dei beni, e così via.

Serve, soprattutto, un unico codice per tutto ciò di cui sopra si è detto, e per altro ancora: un codice nuovo, chiaro, ordinato. Non si riesce a partorirlo nella attuale Legislatura? Okay. Vorrà dire che questa missione sociogiuridica ed economica potrà splendere all’interno del programma delle prossime elezioni politiche. Intanto occorre già iniziare a pensarci, data l’entità storica e memorabile dell’impresa. La codificazione del diritto all’insegna del dinamismo economico-produttivo, d’altronde, non può non appartenere alle sensibilità di un centrodestra illuminato, liberale.

Consapevolmente, nonché in buona fede, si “rischi”. È giunto il tempo di osare, civilmente, per ricodificare.

Aggiornato il 30 aprile 2025 alle ore 10:51