#Albait. Onore al Papa, ma la guerra finirà grazie all’Europa

Nello scenario mondiale le religioni sono tornate a giocare un ruolo politico. Il mondo islamico ne ha dato una plateale dimostrazione nell’Otto-Novecento, dal presunto Mahdi al centro della conquista di Khartoum, al piccolo impero Isis, fino alla struttura istituzionale di Paesi come Iran, Afghanistan e per molti versi anche della Penisola arabica, dell’India, del Pakistan. In Giappone l’imperatore è ancora di natura divina, ma si è molto umanizzato. Al contrario, Vladimir Putin ha prima installato la spia Kirill a capo della Chiesa ortodossa e poi ha gettato il guanto di sfida all’Occidente euro-americano. Ora solo europeo. Anche negli Stati Uniti la componente religiosa si fa strada. Il governo di Donald Trump prega prima di ogni riunione. La santona che officia, oltre che essere ministro, è anche capo di una delle tante sette cristiane americane. Ma quelle sette si diffondono rapidamente anche in Sudamerica. In Brasile sono in fortissima crescita e il primato cattolico comincia ad essere in pericolo. Le sette protestanti ultra conservatrici che hanno oggi in Trump il loro rappresentante più alto, possono diventare il veicolo superstizioso per giustificare altre svolte autoritarie. La “risacca” autoritaria che vuole portare in alto mare le democrazie mature del Novecento ha tra le sue correnti proprio la creazione di una fede militante e violenta.

Non è un caso che la fusione tra religione e politica porti sempre come risultato una svolta reazionaria. Nel Nicaragua dei sandinisti ex iper-marxisti, il vescovo cattolico ha ora un potere enorme. Il Nicaragua è uno dei Paesi più confessionali, dove non c’è libertà e dove l’aborto è vietato in qualsiasi condizione. Forma contemporanea di potere e crudeltà verso le donne. Si possono fare altri esempi, ma per brevità possiamo agevolmente sostenere che la fusione tra fede religiosa e politica è una premessa per le dittature. Certo, il comunismo era antireligioso. Ma le tesi politiche di derivazione hegeliana, positivistiche e scientiste, sostituiscono il partito e lo Stato a Dio. Kim Jong-un, come il padre o il nonno, sono venerati come incarnazione dello Stato. Proprio come lo era il Führer tedesco e, sia pure con la tipica assenza di credibilità, valeva lo stesso per Benito Mussolini. Sta di fatto che il ritorno delle superstizioni, spesso senza alcuna cultura religiosa autentica è uno dei dati di questa epoca. Non va sottovalutato. Donald Trump dichiara di essere convinto fedele di Cristo, ma non è in grado di dire una sola cosa che gli accenda il cuore, tra gli insegnamenti del Messia cristiano. Per contro, in nome di Dio, ha giurato sulla Costituzione che non rispetta. Probabilmente non la conosce nemmeno e poco gli interessa. Allora, se non la conosce, perché usa la religione?

Di fatto perché in essa può trovare legittimazione. Ma la religione usata come strumento di espressione della volontà di leadership è una delle componenti dell’arbitrarietà, nella conduzione di uno Stato. È soprattutto la negazione del governo delle leggi che è tipica delle società liberali. L’uso strumentale della religione rende simili e unisce Hamas all’Iran, l’Iran alla Russia, la Russia agli Usa. Una concatenazione con varie sfumature. Sembra inconcepibile accostare il primo termine all’ultimo, ma la “catena del disvalore” è lì. E fa emergere sul volto di chi se ne renda conto quell’espressione di sussiegoso disprezzo che le persone per bene, disoccupati come operai, imprenditori come politici con la schiena dritta, condividono.

Il sistemaamericano” fino a poco tempo fa era basato sulla fiducia e sul valore della parola come contratto. Trump ha distrutto anche questo aspetto. Ha preteso che gli ucraini firmassero il famoso accordo sulle terre rare. Quel contratto serviva per garantire che gli Usa avrebbero continuato a proteggere l’Ucraina dalla Russia. A firma incassata, la Casa Bianca è tornata a chiedere la capitolazione senza condizioni dell’Ucraina, di fronte all’inesistente strapotere russo. La parola americana non vale più niente. È contrattualmente inutile. Da questa vergogna gli Usa trumpiani non si risolleveranno. Per questo in Europa non possiamo aspettarci niente di buono. Quando il tuo ex alleato non ha più credibilità e sa di aver perso ogni autorevolezza contrattuale, si comporterà sempre peggio. Anzi, se dimostrerà amicizia, sarà ancora più pericoloso, perché il tradimento, sempre possibile, sarà ancora più devastante.

L’aggressione alle libertà ha quindi come vittima ovvia e palese l’Europa. E infatti in Europa si possono notare i prodromi della guerra. Putin ha già cominciato a accusare di nazismo quelle democrazie che fino a poche settimane fa descriveva come imbelli e decadenti. Gli Usa non hanno condannato questa aggressione. Né hanno reagito quando Putin ha pubblicamente proposto un’alleanza russo-americana contro l’Europa. Anzi, Washington ha chiesto appunto la capitolazione ucraina che ha fatto da incoraggiamento talmente plateale alle mire putiniane che il timido sostegno cinese alla Russia è diventato sfacciato. Non solo militari nord coreani, ma anche cinesi sono tra i catturati del forte esercito ucraino. Quella guerra salda religione e minaccia militare arbitraria. Coinvolge l’Ucraina, ma anche la Georgia, la Serbia, il Mediterraneo. Nel frattempo, la vecchia Europa subisce ogni giorno attacchi di guerra asimmetrica e tecnologica. Per quanto l’orso russo sia preda di debolezze strutturali evidenti, oggi può contare sui desideri autoritari americani. Questo rende l’Europa la vera grande isola democratica del mondo. Dobbiamo renderci conto di questa missione che abbiamo. Chi lotta contro i totalitarismi guarda a noi. Anche molti americani oggi comprendono che il Vecchio Continente offre maggiori garanzie di libertà e di investimento. I russi liberi vengono qui, in Europa. Anche loro non si fidano più dell’America. Possiamo sostenere il ruolo di superpotenza?

Questa è la domanda cruciale. L’Europa è un continente che ospita mezzo miliardo di persone, produce una ricchezza pari a quella americana e cinese e abbiamo a disposizione tutte le tecnologie più avanzate del mondo. I figli d’Europa sono disseminati in tutto il globo. Se chiedessimo a un australiano, un sudamericano o un canadese se si riconoscono di più negli Usa di Trump o nell’Europa delle contraddizioni e della libertà, scelgono noi, imperfetti ma forti e capaci di indignarci di fronte alle stragi. In Africa, i popoli sanno di essere legati a noi dal passato coloniale non esaltante, ma dal futuro promettente, proprio perché con lo sfruttamento arbitrario abbiamo fatto i conti. L’Europa è il continente del senso della vergogna maturo che è vitale per la nostra cultura contemporanea. Ci rende prudenti e capaci di leggere il futuro. Gli americani invece il senso della vergogna non lo hanno. E non lo hanno i russi come Putin. Ed è per questo che discendono verso i gorghi dell’inferno autoritario. Dobbiamo essere consapevoli che i problemi di Washington o Mosca non potranno essere risolti in Europa.

In questi giorni, il cordoglio per la morte di Papa Francesco argentino, oriundo italiano, ha mobilitato le coscienze. Ha reso evidenti anche le critiche al Papa, come è giusto che accada in un continente libero. In Italia renderemo addirittura compatibili il 25 aprile, giorno della libertà italiana, con la sobrietà del lutto papale, invocata dall’ex missino ora ministro Nello Musumeci, che ha confuso probabilmente la festa del primo maggio con le celebrazioni del 25 aprile. Che poi, la gioia a Papa Francesco non ha mai dato fastidio, anzi. Viva la libertà, quindi. Con la coscienza di un’Europa che è nuovamente culla naturale delle libertà, nonostante sia stretta tra un nemico a oriente e un quasi nemico a occidente. Grazie alle enormi risorse di cui disponiamo, siamo il faro e torneremo ad essere il centro del mondo del libero. Basta avere l’Europa unita e le incertezze svaniranno. Il popolo europeo, tra Erasmus, libertà di movimento e aggressione russo-americana esiste. Bisogna solo costruire la casa istituzionale.

Facciamolo e la guerra finirà, non per le sole preghiere, ma per l’esistenza di un caposaldo della democrazia, capace di potenza, di orgoglio, di libertà e per maturazione acquisita dagli errori del passato: quel caposaldo siamo noi europei.

Aggiornato il 24 aprile 2025 alle ore 17:29