
“Economista, ambientalista, Papa del popolo, teologo della Liberazione, pacifista”. Così si ricorderà Papa Francesco. È davvero stato un Papa della misericordia, che ha cercato di aiutare gli oppressi e gli ultimi della Terra. Lo ha fatto dando un esempio diretto con la sua persona e perciò è stato giustamente approvato. Ha sbagliato quando attorno a ciò ha lasciato crescere una dogmatica sociale e politica della chiesa. In questo modo la sua teologia è passata in secondo piano, dato che è stato esaltato da chi poco sa di dottrina della fede, a partire dai giornalisti e da quello scarto dell’intelletto che sono gli “opinionisti” dei media.
La compassione cattolica rimarcata dal Papa è una pietra dello scandalo in un mondo che in Occidente è opulento e ricco di un disincanto quasi totale rispetto al significato etico della vita e alle esperienze di una fede che non sia quella à la page e orientalista che riecheggia sulle pagine dell’Espresso e nelle lettere a Natalia Aspesi. In essa riecheggia uno Stilnovo quasi dantesco e francescano, unito però a un’azione interna alla chiesa cattolica che ricalca la Compagnia di Gesù, i gesuiti di Ignazio di Loyola detestati dai protestanti per la sua violenta repressione degli “eretici”. In questo Papa Bergoglio è stato deciso: voleva chiudere la partita col lassismo ecclesiastico, con gli scandali giudiziari per gravi reati sessuali, per non parlare della qualità delle parrocchie, per finire con una Chiesa che fino a Bergoglio giaceva nella divina indifferenza e che poi ha trovato una nuova spiritualità nell’azione per gli immigrati, i poveri, i carcerati. Peccato che la “società incivile” abbia interpretato tutto ciò non come un Rinnovamento della fede, ma come una chiesa ridotta a essere una Ong, “tanto non credono più a niente nemmeno loro…”. Eppure nel suo approfondimento teologico il Papa ha detto cose condivisibili e profonde, anche se poi confinate da altri in un cristianesimo privo di Gesù.
LA LINEA DEL PIETISMO
Esiste un tipo di umanità in cui non si impone la violenza hard del dittatore, ma vincono dottrine soft in cui si predica la strada di un bene relativo al posto del Bene assoluto. Il bene relativo è quello ottenibile col liberalismo, che riconoscendo i limiti umani cerca il possibile, lascia l’impossibile alle rivoluzioni del 1968 di “siate realisti, chiedete l’impossibile” là dove l’errore è nel “chiedere”. Chiedere a chi? Se la chiesa cerca un bene relativo rischia gravi errori, per cui la guerra contro Adolf Hitler non si dovrebbe fare, e neanche quella contro Iosif Stalin. Ma quello si chiama fatalismo: non è cristianesimo, e non è nemmeno una buona politica. Parlando di violenza, ricordiamo la spada di San Pietro, portata alla cintola dal “primo” discepolo: armarsi serve a evitare violenze. Pietro ferisce una guardia del Grande sacerdote del Tempio: lui la ripone nel fodero ma non la butta via. Il discepolo e apostolo viene fermato perché vuole evitare il sacrificio del Golgota. La crocifissione – tra l’altro implica la fine di tutte le religioni, come ricorda il teologo cattolico René Girard.
Le religioni hanno sempre reintrodotto un ruolo sacerdotale in cui il sacerdote non è più un “ponte” tra divinità e umanità, ma finisce per prendere il posto di Dio, il che è un errore colossale. In questo campo la migliore forma ecclesiale che i cristiani dovrebbero riprendere in mano oggi è la non chiesa pietista, la cui storia e contenuti sono stati cancellati, dimenticati, censurati, tanto che in italiano non c’è quasi nulla quanto a bibliografia. Anche per questo le pecore di oggi, più che seguire l’Agnello di Dio mangiano l’agnello del macellaio, illusi da sacerdoti e dottrine che inevitabilmente finiscono per diventare il contrario della separazione dei poteri sancita da Cristo.
Pietisti (in parte) furono i tedeschi Immanuel Kant – vedi il testo La Religione nei limiti della sola Ragione – e Johann Wolfgang von Goethe. Proto pietista fu anche la cattolica Angela da Foligno (1248–1309) terziaria francescana, beatificata nel 1693 da Papa Innocenzo XII e canonizzata da Papa Francesco il 9 ottobre 2013. Il padre del pietismo fu Philipp Jacob Spener, che a Francoforte sul Meno fondò i Collegia pietatis, assemblee private che si adunavano in case – e non in chiese – per culti di preghiera e per discutere sui brani della Bibbia. Era un ritorno alla prassi della chiesa primitiva, che si allontanava con forza sia dal luteranesimo sia dal ritorno del sincretismo pagano del “culto dei santi”, del culto mariano, del culto delle reliquie. Parliamo della decadenza del primato di Cristo nella Chiesa trionfante del “Papa re”, prima nell’Europa del Sacro Romano Impero e poi nello Stato vaticano del centro Italia.
Chiaramente il pietismo, così dirompente per tutte le confessioni cristiane, trovò ostacoli persino nel luteranesimo antipapalino. Eppure il suo amore per l’anticonformismo scavò parte delle fondamenta nel pur materialistico palazzo illuminista, e non solo nel pensiero kantiano. Portò caos nel conformismo sociale e culturale, e nel Grande Sonno della coscienza individuale del “gregge umano”. In sintesi, il pietismo fu una religione senza Chiesa (al contrario di ciò che diceva Emile Durkheim) e una chiesa senza religione. Il pietismo tuttavia ha quella che Umberto Eco chiamava ratio difficilis, dato che non incanta le masse ma è fatto per chi vuole rinunciare a facili dottrine e trovare una neo lingua priva di codici, com’è quella dello spirito e di una vita sociale condivisa. Però quella pietista resta la strada stretta ma migliore di cui parlava Cristo.
DALL’ANTI-ORTODOSSIA PIETISTA ALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Secondo Immanuel Kant il mondo post-religioso dev’essere un “luogo di tensione dell’agire pratico dell’uomo non lontano dal campo istituzionale, ma chiamato ad affrancarvisi. si tratta del punto in cui la chiesa visibile viene superata dalla chiesa invisibile, da quell’utopia per eccellenza rappresentata dal dominio dello spirito, identificabile con un regno di Dio sulla terra, redento (liberato, ndr.) dal suo stesso carattere religioso” (Giovanni Panno, Elaboração da luz no espaço entre a Igreja Visível e Invisível no pensamento de Kant, su Academia.edu). La Teologia della Liberazione (TdL) nasce nel Sudamerica del 1968 a Medellín (Colombia), come epifania del Concilio Vaticano II. Ha origine però nel 1965, col “Patto delle catacombe” sottoscritto da una quarantina di vescovi nelle catacombe romane di Domitilla. Il Patto fu un evento rivoluzionario nella chiesa cattolica, non tanto per il contenuto, quanto perché i vescovi promisero di osservare essi stessi un voto di povertà, in ossequio alla volontà di andare incontro ai poveri (e contrastare le giunte militari allora diffuse nelle loro Nazioni).
Il fondamento della TdL è paradossalmente conservatore, dato che cerca il ritorno della centralità della chiesa cattolica nella società umana. Non si tratta più della difesa del “potere temporale del Papa”, ma della volontà di sostituire con una chiesa politica il ruolo religioso del comunismo internazionalista. Negli anni Sessanta si credeva ancora che Mosca fosse la terra promessa dell’operaio massa. A Stalin, come scrisse L’Unità alla morte del dittatore più hitleriano (con Pol Pot) di sempre, si doveva “Gloria Eterna all’uomo che più ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità”. I soviet erano il Nuovo Cristo incarnato a Mosca (ma non nei gulag siberiani e nella persecuzione permanente a 360°). La TdL in seguito collaborò col socialcomunismo latino-americano, posto che fosse nata in alternativa alla secolarizzazione del mondo (ma quando mai il mondo non è stato menefreghista, se non nella fisica einsteiniana e quantistica, in Baruch Spinoza o nei cristiani invisibili, al di là della loro confessione di nascita, pecore nascoste dal Buon pastore che non fanno parte del gregge-massa e che provengono da ogni confessione e da ogni popolo della Terra?). Non sarebbe questa la giusta strada di un cristianesimo coraggioso, che non abbia bisogno di una teodicea in grado di spiegare la presenza del male nel mondo?
Nel 1973 Il teologo Gustavo Gutiérrez, docente della Pontificia Università del Perù, pubblicò il libro Historia, Política y Salvación de una Teología de Liberación. La chiesa scendeva così sulla Terra, dall’Empireo dove si era rifugiata coi papi precedenti. Cercava un ruolo politico. Si faceva partito e Ong. Così facendo però rinunciava al suo ruolo bicefalo: Cristo aveva detto non a caso: “Date a Dio ciò che è di Dio, e a Cesare ciò che è di Cesare”. Non disse di dare a Dio oppure a Cesare. Gesù era laico, non un leader politico. La politica tende a dominare la fede. Viene in mente quanto scrive Aki Shimazaki nel romanzo Nel cuore di Yamato (Feltrinelli, 2018), a proposito dei prigionieri giapponesi catturati dei russi nella Manciuria cinese. I giapponesi segregati in infami gulag siberiani furono rispediti in patria soltanto nel 1948 dopo lunghissime trattative, ma avevano subìto un “lavaggio del cervello, un minshu-undò, diventando marxisti-leninisti. Al loro arrivo al porto di Maizuro, i parenti che li accoglievano restavano turbati”, perché i rimpatriati si dimostravano molto arroganti e per anni non sembrarono affatto felici di essere tornati in Giappone e dai loro cari.
Papa Bergoglio assume non a caso il nome di Francesco. Anche la TdL risale ai princìpi della regola francescana della chiesa povera dedita ai poveri di San Francesco d’Assisi. Una missione nobilissima: quello del santo di Assisi fu un modo cristianissimo di criticare la chiesa uscita vincitrice dal Sacro Romano Impero, una chiesa ricca e potente, dedita al culto delle immagini (amplificato al top nel Rinascimento) più che al culto di Cristo. Ma se una chiesa cristiana non si attiene al culto di Cristo che chiesa cristiana è? Preciso: tutti noi – senza farlo sapere in giro – dovremmo essere caritatevoli, accoglienti, amorevoli verso tutti, non solo verso gli amici. È un caposaldo dell’etica sociale e cristiana. La differenza è quando non si vuole aiutare il povero, ma combattere la povertà.
In questo campo Papa Bergoglio ha fallito, non nel suo esodo da un Egitto ricco verso il deserto della povertà, come ha fatto quando ha deciso di vivere nella residenza di Santa Marta, fuori dalle “sacre mura”, una novità bellissima per un Papa. Ma la difesa dei poveri di spirito e dei diseredati cova il grave pericolo della politica. Il Papa argentino, figlio involontario del peronismo populista, come poteva conoscere i pericoli della predicazione marxista? Si è fatto portavoce di finalità giuste, ma attuate in modi sbagliati e non concretizzabili: quelli di Serge Latouche e dell’Alleanza Verdi Sinistra.
Come poteva Papa Bergoglio smontare la frottola del liberalismo nemico dei poveri e quella del postcomunismo come salvatore dei poveri? Non ebbe modo di leggere Milton Friedman, purtroppo. Allo stesso modo, se il Fmi, la Banca mondiale e gli economisti seguissero le “dottrine” antiliberiste e la linea paradossale del quotidiano L’Avvenire in materia di economia, il mondo si ridurrebbe a una gigantesca Unione sovietica alla vigilia del suo fallimento economico (morale, politico). Resteremmo senza casa né lavoro. In ciò che è economia, politica e ambientalismo il Papa ha perso la direzione avuta in altri campi della sua attività pontificale. Eppure questa è la sola parte per cui i media mainstream glorificavano e ricorderanno Papa Bergoglio. In questo errore sono caduti anche ossimori della politica come il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, quello di “abbiamo sconfitto la povertà”.
Creare lavoro e praticare giustizia, questo potrebbe essere l’imperativo di una chiesa cristiana volta al Cielo come alla Terra, un buon lascito per il dopo Bergoglio. Senza dimenticare che non ci sarà mai pace senza che ogni uomo faccia pace con Dio e con sé stesso. Come può chi ricerca il potere personale creare una società migliore? Come può essere giusto chi non ricerca la giustizia di Dio usurpandone il nome, come il clero musulmano in Iran e Afganistan, come hanno fatto e fanno anche alcuni leader politici falsamente cristiani? Il cristianesimo offre una visione, un percorso “esterno” ma tracciato per noi, che permette di avvicinarsi a Dio pur senza raggiungerlo, così come l’Achille che non raggiunge mai la tartaruga divina. Invece raggiungiamo di corsa e senza problemi il drago del male. In questa fuga senza fine nella direzione sbagliata siamo bravissimi, ma così eludiamo sia la vita materiale e sociale, sia la nostra ricerca dell’infinito scientifico e dell’infinitezza etica e spirituale.
Aggiornato il 22 aprile 2025 alle ore 11:49