
Difendere l’interesse nazionale e portare avanti la compattezza europea. È su questo crinale sottile che Giorgia Meloni si prepara a varcare, giovedì prossimo, la soglia dello Studio Ovale. Obiettivo dichiarato: ottenere l’appoggio di Donald Trump all’idea di una vasta area di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa, fondata sul principio del “zero per zero” nei dazi doganali. Un’iniziativa ambiziosa, che il governo italiano vuole spendere tanto a Roma quanto a Bruxelles. Il contesto è meno teso rispetto a qualche settimana fa. Lo rimarca il ministro degli Esteri Antonio Tajani da Osaka, con parole che cercano di rassicurare gli alleati europei: “Credo che la situazione stia lentamente migliorando. Il viaggio della Meloni non è per giocare una partita italiana”, né “per far venir meno l’unità europea. L’Ue – anzi – conta anche sul suo sostegno” per “spingere nella direzione di una trattativa e non di una guerra commerciale”. In parallelo, anche Bruxelles si muove. Il commissario europeo al Commercio, Maroš Šefčovič, è in partenza per Washington, dove incontrerà il segretario al Commercio americano Howard Lutnick per proseguire il negoziato sulle tariffe. A Roma, però, non si leggono queste due missioni come divergenti. Al contrario: Tajani segue personalmente gli sviluppi del dossier europeo, considerandolo un tassello complementare allo sforzo diplomatico italiano. Il rinvio delle nuove tariffe da parte dell’amministrazione Trump viene valutato come un segnale positivo: “va nella giusta direzione”.
Ma il colloquio tra Meloni e Trump non si limiterà al commercio. È quasi certo che sul tavolo ci saranno anche i dossier più caldi dell’attualità internazionale: il conflitto in Ucraina e la crisi in Medio Oriente. Temi su cui il presidente americano spinge per un coinvolgimento più marcato degli alleati, anche sotto il profilo militare. E qui entra in gioco un altro fronte delicato: le spese per la difesa. La richiesta di Trump è nota: portare al 5 per cento del Pil il contributo di ciascun Paese Nato. Una soglia giudicata irrealistica da Roma, ma che non ha impedito un primo segnale distensivo. “Siamo pronti ad arrivare al 2 per cento del Pil, presto ci sarà l’annuncio ufficiale da parte del presidente del Consiglio”, ha dichiarato Tajani. Un impegno che dovrebbe essere formalizzato entro giugno e che – secondo indiscrezioni – potrebbe rappresentare solo la prima tappa di un percorso più ampio: “Sappiamo bene che presto verrà chiesto un altro sforzo”, “vedremo quali saranno le richieste del segretario generale (della Nato) Mark Rutte, ma intanto noi diciamo che siamo pronti e stiamo già rispettando la regola del 2 per cento”.
L’Europa, al momento, oscilla come un pendolo tra le pressioni americane e l’attrazione economica cinese. La contemporanea missione di Pedro Sánchez a Pechino e quella di Meloni a Washington vengono lette come cartina tornasole delle diverse sensibilità all’interno dell’Ue. La premier italiana, da parte sua, potrebbe ribadire la linea di Roma sul green deal: l’obiettivo è rimettere in discussione il bando alla vendita di auto con motore termico, previsto per il 2035. Un’altra partita che potrebbe incrociarsi con il malumore statunitense verso normative europee, dalla web-tax alle regole ambientali. Per affrontare un interlocutore imprevedibile come Trump, la preparazione della visita è meticolosa. Da giorni, Palazzo Chigi lavora in silenzio, riducendo al minimo le comunicazioni ufficiali. L’attenzione è alta, sia in Italia sia a Bruxelles, dove si attende di capire quale spazio Meloni riuscirà a ritagliarsi nel nuovo equilibrio transatlantico.
Il calendario, intanto, è serrato. Subito dopo l’incontro del 17 aprile alla Casa Bianca, la premier farà rientro in Italia. Il giorno seguente, a Roma, è atteso il vicepresidente americano J.D. Vance. Il terzo tempo di questa fitta agenda sarà il viaggio negli Stati Uniti del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, per incontrare il suo omologo americano. Anche per lui, il messaggio è chiaro: “Lo sforzo politico e strategico che l’Italia sta facendo è fondamentale, anche per l’Europa” e “il negoziato non è semplice”. La sfida è trovare “una sintesi, un compromesso corretto, per trovare elementi di forza nel mondo del G7 cioè dei Paesi che condividono i principi di libertà e democrazia”.
Aggiornato il 14 aprile 2025 alle ore 10:23