
Riarmare l’Europa con un sensazionale piano di investimenti militari dell’ammontare di 800 miliardi di euro, al fine di difendersi dalle eventuali ambizioni espansionistiche verso ovest della Federazione russa di Vladimir Putin. Questo è ciò che prevede il cosiddetto ReArm Europe, il piano comunitario pensato dalle istituzioni europee per superare quella frammentazione che da sempre impera in casa Ue e mobilitarsi militarmente per adeguarsi alle complesse sfide del presente e agli epocali mutamenti geopolitici in atto. Ciò detto, mi è doveroso fare due semplici premesse prima di poter centrare il focus sul discusso piano di riarmo europeo. Primo: l’Europa si trova innegabilmente in una posizione di netto ritardo strategico che frena il compimento del processo di integrazione militare. Secondo: chi scrive, crede fermamente nella necessità di costruire un sistema integrato di difesa comune europea, con funzione di deterrenza e svincolato da interessi prettamente nazionalistici. Premesso ciò, non si può tuttavia fare a meno di notare che il piano militare proposto dall’Unione sembri andare nella direzione esattamente opposta rispetto all’obiettivo di una difesa comune europea.
A ben vedere, il ReArm Europe sembrerebbe infatti spingere gli Stati membri ad investire in armamenti in maniera ancor più frammentata, senza peraltro creare i presupposti indispensabili per la costruzione di una vera politica di difesa comune. L’ambizioso progetto di riarmo partorito da Ursula von der Leyen e compagni, che, almeno sulla carta, dovrebbe servire a gettare le basi per un’Europa comune della Difesa, rischia invece, nei fatti, di accrescere ulteriormente le divisioni tra i vari Paesi membri, dal momento in cui consentirebbe ad ognuno di essi di gestire in perfetta autonomia la propria quota fondi per rafforzare le proprie capacità militari, ma non necessariamente per finalità allineate all’obiettivo di una politica di difesa comune. La direzione intrapresa da Bruxelles sembrerebbe, pertanto, quella di indurre gli Stati membri a potenziare i loro arsenali militari, senza tuttavia subordinare il piano di rafforzamento a un organismo europeo superiore. Ma, così facendo, è bene evidenziarlo, si rischia seriamente di incrementare ulteriormente la competizione all’interno degli stessi confini europei e riaccendere la mai sopita rivalità tra i Paesi membri. Non solo. Perché, se l’obiettivo dichiarato delle istituzioni comunitarie è effettivamente quello di evitare conflitti su larga scala, allora non si può assolutamente prescindere dall’intraprendere quel percorso della deterrenza nucleare, già ampiamente tracciato dalle altre potenze globali.
La via della deterrenza garantirebbe infatti all’Europa la presenza di un ombrello protettivo condiviso, sbarrando la strada a qualsivoglia tentativo di invasione da parte di potenze ostili, Russia compresa. Eppure, anche in tal caso, il piano di riarmo europeo pare andare nella direzione esattamente opposta, prevedendo investimenti per svariate decine di miliardi di euro per ogni singolo Paese in armamenti convenzionali, senza la creazione di un vero arsenale nucleare gestito a livello europeo. In sostanza, dunque, il grandioso piano di investimenti di ben 800 miliardi di euro finalizzato alla creazione di una difesa comune, non contempla neppure una deterrenza nucleare, e, per di più, sembrerebbe voler demandare la difesa europea all’iniziativa dei singoli Stati membri, senza un chiaro indirizzo politico, senza una regia comune e con il rischio di acuire ulteriormente le distanze tra i vari Paesi europei. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma. Sempre la solita vecchia Europa, miope, disorganizzata, frammentata al suo interno e perennemente incompiuta.
Aggiornato il 11 aprile 2025 alle ore 10:07