Scontro di civiltà dimenticato

La sveglia suonata da Donald Trump sia sul piano economico che su quello strategico-militare a un’Europa scarsamente consapevole circa i mutamenti internazionali in atto, rischia, come effetto secondario, di fare dimenticare del tutto al Vecchio continente che vi è un’altra questione destinata ad esplodere, ancorché nel lungo periodo, con effetti assai più dirompenti sulla vita delle nostre democrazie. Il riferimento è alla sottovalutazione delle immigrazioni di massa. Il problema lo aveva inteso nella sua complessità già nel lontano 1982 Marco Pannella, quando in perfetta solitudine invitava l’intera classe politica ad occuparsi dell’Africa, “perché – sosteneva – prima o poi l’Africa si occuperà di noi”. Tanto per evitare ogni equivoco: la riflessione che andremo a fare non riguarda ciò che rappresenta un valore non negoziabile ovvero essere sempre pronti, a fronte di condizioni di pericolo, nell’intervenire per salvare vite umane alla deriva nelle acque del Mediterraneo e nell’adoperarsi per assicurare condizioni di accoglienza dignitose.

Dopodiché non si può continuare a sfuggire (come purtroppo si sta facendo) dal valutare con realismo le conseguenze che i massicci trasferimenti lungo la direttrice sud/nord di persone perlopiù di religione islamica – i demografi prevedono per i prossimi decenni trasmigrazioni quantificabili a sei zeri – potranno produrre sul tessuto civile e politico degli europei. In tal senso, già nei primi anni Novanta Samuel Huntington, in un saggio pubblicato su Foreign Affairs, metteva sul chi vive l’Occidente (in primis i Paesi più a ridosso dell’Africa) sulla concreta possibilità che la tavola dei valori occidentali potesse essere messa in discussione da un vero e proprio “scontro di civiltà”. Il professore di Harvard scriveva che “i musulmani temono e odiano il potere dell’Occidente e la minaccia che esso rappresenta per la loro società e la loro fede… giudicano la cultura occidentale materialistica, corrotta, immorale e come tale da combattere in ogni modo”. Mentre alcuni anni dopo Giovanni Sartori in Pluralismo, multiculturalismo e estranei rivolgendosi a una classe politica europea sorda verso tali argomenti ammoniva che “la disintegrazione delle nostre società sarà inevitabile qualora non verranno disciplinati i processi di accoglienza di persone che per cultura e formazione rifiutano i fondamenti della democrazia liberale”.

Ammonimenti che i sostenitori delle porte aperte (soprattutto dalle parti della sinistra) hanno sempre ignorato. Essi continuano ad essere convinti che l’attuale fenomeno migratorio vada ricondotto entro il perimetro delle scelte che ciascun individuo libero ha il diritto di esercitare, decidendo di abbandonare il proprio Paese di origine per trasferirsi in un altro. Ciò che non viene ricordato è che tale diritto, posto in termini assoluti, risulta incompatibile con un altro, ossia con il diritto del Paese che accoglie di decidere come, quando e chi ricevere. A costoro andrebbe raccomandata la lettura di alcuni brani de Per la pace perpetua di Immanuel Kant soprattutto là dove il filosofo di Königsberg precisa che “ospitalità significa che lo straniero ha il diritto di non essere trattato in modo ostile, ma il diritto di abitare dove si vuole sulla Terra incontra un limite nella volontà dell’ospitante e nella sua benevolenza”. Di qui nasce e trova legittimazione una delle funzioni più delicate che uno Stato è chiamato a svolgere in ottemperanza all’obbligazione politica stipulata con i suoi cittadini: garantire la difesa dei confini nazionali da invasioni illegali e arbitrarie.

È appena il caso di ricordare ai “lietopensanti” (così li chiamava Sartori) che fra i doveri di uno Stato sovrano vi è quello di una continua vigilanza anche facendo ricorso, in caso di necessità, al weberiano uso legittimo della forza.

Aggiornato il 07 aprile 2025 alle ore 10:15