Il partito islamico di Monfalcone è anticostituzionale

A dare l’allarme è stata Souad Sbai, con la sua Associazione delle donne marocchine in Italia (Acmid). Il fatto che a Monfalcone sia nato un partito islamico radicale, pronto a presentarsi alle Comunali, ha portato agli onori della cronaca il piccolo centro friulano. Non si tratta di un’associazione culturale né di un’iniziativa per favorire l’integrazione, ma di un vero e proprio soggetto politico che si richiama apertamente alla frangia più estrema della religione islamica. Una realtà inedita per l’Italia, un Paese con profonde radici cattoliche e con un principio di laicità sancito dalla Costituzione. A guidare la lista sarà Bou Konate, ex assessore di centrosinistra e originario del Senegal, alla testa di un gruppo formato esclusivamente da candidati stranieri.

L’iniziativa ha sollevato reazioni immediate, tra cui quella della sopracitata Sbai. La giornalista ed esperta di diritti umani ha deciso di passare all’azione e ha incaricato i suoi legali di presentare un esposto alla Procura della Repubblica, denunciando la pericolosità della lista islamica. “Poligamia, niqab, sharia. La lista va messa subito fuori legge perché promuove obiettivi contrari alla Costituzione. La proliferazione di questi partiti sarebbe un colpo fatale all’esistenza stessa dell’Italia e degli italiani. L’Italia è uno Stato laico, con una separazione tra religione e politica. Pertanto, ogni partito che promuova una visione religiosa deve rispettare le leggi democratiche, comprese quelle relative ai diritti umani, alla libertà di espressione e alla non discriminazione”.

Il nodo centrale della questione riguarda il rispetto delle regole del buonsenso e laiche, poste dai Padri costituenti nel Secondo dopoguerra, che sono i principi fondamentali dello Stato italiano. Sbai ha posto l’accento sulle possibili implicazioni di un partito islamico nel nostro sistema giuridico, in particolare sul ruolo della donna nella società. “Per quanto concerne il principio di uguaglianza, la sharia prevede norme che discriminano le donne in vari ambiti, tra cui il diritto di famiglia. Secondo la sharia, infatti, un uomo può avere fino a quattro mogli, e il divorzio può essere più facilmente ottenuto dall’uomo rispetto alla donna, mentre in Italia il matrimonio è monogamo, e le leggi sul divorzio cercano di garantire l’uguaglianza tra i coniugi”. Ma questo è solo “uno degli aspetti divergenti”, ha ammesso la presidente di Acmid.

Il dibattito si allarga anche alla libertà individuale e ai diritti fondamentali. Come ricorda Sbai, la sharia prevede restrizioni severe per chi abbandona la fede islamica e limita la libertà personale in modi incompatibili con i valori italiani. “L’islamismo radicale limita la libertà di espressione, l’orientamento sessuale e i diritti delle minoranze. In più la sharia prevede pene corporali come la flagellazione o la lapidazione per determinati reati e chi non rispetta la sharia o l’Islam è severamente punito”.

Aggiornato il 26 marzo 2025 alle ore 11:03