Conservatori liberali di pace

Liberare la pace, le economie, le vite

Il pacifismo della sinistra fucsia dell’ultimo anno, fino ad arrivare alla manifestazione romana del 15 marzo a Piazza del Popolo, è un confuso ma tiepido e talvolta addirittura inconsapevole surrogato dell’antitesi al capitalismo. Un surrogato politico non psichedelico: semplicemente psicopatico. Seppur rispettabile, come tutte le manifestazioni dove un pezzo di popolo vi partecipa con ospiti di grande rilievo.

Ovviamente.

Ma occorre sconfessare la confusione che a sinistra regna sovrana sul tema del binomio reale guerra-e-pace, padre di un altro futuribile binomio che ne sarà la conseguenza: amicizie economiche globali e inimicizie economiche globali. E su questo la sinistra tace.

Ove ora fossero i rossi al governo, stando così la sinistra, staremmo già perdendo appeal internazionale, più di quanto non lo perdiamo solitamente.

L’intellettuale libero e indipendente bene fa se riprende la missione socioculturale che la coscienza vitale gli affida. Obiettivo papabile di una tale missione può senz’altro essere quello di destrutturare la retorica di quegli arcobaleni incoerenti, che ogni tanto accompagnavano il possente ma contradditorio blu delle bandiere europee, nella Piazza del Popolo del 15 marzo. Togliendo la patina di perbenismo dagli slogan e dai volti di quella anziana piazza, si intuisce la radice primula di quel pacifismo zoppo, che è un surrogato storico dell’antitesi al capitalismo globale, per tradizione propinato tra le righe di una sinistra che ora non ha più nulla di sostanziale contro cui battersi.

Quegli anziani e meno anziani, che erano presenti in quella manifestazione popolare e che vogliono una pace irreale senza volere che ci sediamo al tavolo con la Russia per mezzo del big Donald, non fanno altro che perpetuare parti di quelle contraddizioni psicosociali che hanno vissuto nei decenni scorsi, step by step, nel doversi distaccare da un mondo ormai privo di bandiere rosse internazionali per cui battersi, o (semplicemente) stracciarsi le vesti.

Al di là di ogni analisi politico-antropologica, ora, bisogna essere chiari: Trump sarà pure un globalpopulista su vari temi, sicuramente sul piano economico ci sta dando grandi preoccupazioni con i suoi già preannunciati dazi (e quei problemi dobbiamo risolverli con la diplomazia economica), ma è con lui ‒ e con questi Usa ‒ che dobbiamo edificare la pace, tra la nostra amica Ucraina e la grande potenza russa. Tertium non datur, hic et nunc.

Ora, sta alla nostra riconoscibilità identitaria sul piano internazionale, come Italia e come Unione europea, fare di quel processo di pace un percorso il più liberalconservatore possibile. Cosa occorre conservare? La pacifica convivenza fra Stati, federazioni di Stati, popoli e individui, all’insegna di una sicurezza che è sempre più vitale per i commerci e per le libertà, nel loro esercizio pragmatico periodo per periodo, stando così le cose.

A sinistra sbagliano ad essere inconsistenti, e quando lo capiscono diventano litigiosi: quindi ancor più inconsistenti.

Stiamo attenti a non sbagliare anche nelle aree liberali cosiddette “pure”, per chi come me si sente orgogliosamente liberale.

Non ci porterà ad essere un’alternativa credibile su alcunché il continuare ad osannare in modo acritico costosi piani di riarmo ‒ che aumenteranno le nostre pressioni fiscali ‒ senza avere una difesa comune già operativa e ben coordinata. Non ci porterà ad essere un’alternativa credibile di fronte agli italiani il non sporcarsi le mani con il centrodestra solo perché quest’ultimo è composito al suo interno; mentre è proprio questo centrodestra che tra le sue contraddizioni potrebbe concretizzare una visione di pace conveniente e umanitaria, trovando quel minimo comune denominatore utile con Donald Trump, nel far dialogare Zelensky con Putin. Ciò lo si deve fare per intravedere un futuro eurocontinentale senza più morti da vendicare e senza fame.

Occorre investire bene in difesa, perché come giustamente è stato rilevato dalle più alte fonti istituzionali, le spese sostenute nella sicurezza militare rappresentano comunque un investimento. Oserei aggiungere: soprattutto in questi tempi geopoliticamente policentrici e con potenze nucleari in via di ulteriore sviluppo da più parti sul globo.

Siamo solo parole tese sul mondo, in apparenza. Di fronte alle guerre quotidiane narrate in carne, ossa e pixel, impauriti ma forse speranzosi assistiamo al tragico protrarsi del conflitto russo-ucraino, inserendolo in un incerto limbo di epocali anomalie. Sulla cresta fluida di questa post-contemporaneità in divenire, cerchiamo nuove idee politiche per cui batterci, talvolta con un mero “mi piace” sui social per sentirci giusti, o giustificati. Ma non basta.

Come genitori oppure figli storici della sana caduta del muro di Berlino, brancoliamo un po’ tutti alla ricerca di una visione post-ideologica che globalizzi una via di salvezza contro ogni rischio di una seconda Guerra fredda (riscaldata), o di una Terza guerra mondiale. Intanto, mentre facciamo i conti con il nostro grado di coerenza occidentalista liberale, o con il nostro pacchetto identitario nonviolento all inclusive.

Ma è alla pragmatica valoriale che siamo chiamati: un terreno di considerazioni e azioni politiche proficuamente basate sul valore dinamico delle economie libere, e sulla pace. Una pace pragmatica. Una pace che è amica della sicurezza militare.

Una pace che non rinuncia a vedere la parola fine nell’immediatezza delle sofferenze umane: perché una guerra come quella russo-ucraina, scoppiata a causa dell’invasione russa ai danni del popolo ucraino, deve pur finire.

Oltre l’inconsistenza del logoramento senza luce, occorre cambiare strategia nel percorrere il tunnel geopolitico. L’Italia e l’Europa potranno cambiare le cose solo se sapranno unirsi al corso del torrente in piena di questi mesi, per porre argini peculiari e sapienti, per umanizzare le dialettiche nei punti più aspri di quelle acque torrentizie solutorie. All’Italia spetta attualizzare diplomaticamente il senso della conservazione liberale di una pace nuova, che si fa sempre più inevitabile, nel cuore di tutti.

Aggiornato il 26 marzo 2025 alle ore 10:59