Proprietà e libertà: la lezione attuale di Luis de Molina

Cosa significa oggi parlare di giustizia e proprietà? La lezione di un teologo del Cinquecento può ancora illuminare il nostro tempo di crisi economica e politica.

Luis de Molina, gesuita, teologo e giurista spagnolo del XVI secolo, è una delle figure più originali della Tardo scolastica, corrente filosofico-giuridica che trova il suo apice nella cosiddetta Scuola di Salamanca. Essa, fiorita nel XVI e XVII secolo presso la locale Università, ha registrato il contributo di teologi e giuristi, prevalentemente domenicani e gesuiti, tra i quali pensatori come Francisco de Vitoria, che è considerato il fondatore, Domingo de Soto e Juan de Mariana. La Scuola è ritenuta un precursore del liberalismo classico per il suo contributo alla teoria economica, al diritto naturale e alla difesa della libertà individuale.

Tali principi sono stati approfonditi da Molina nel De Iustitia et Iure, pubblicato per la prima volta nel 1593, dove affronta il tema della proprietà e della giustizia economica con un equilibrio che risulta straordinariamente attuale. Le sue elaborazioni, basate sulla difesa della proprietà privata e del libero scambio, rappresentano un netto rifiuto di qualsiasi forma di interventismo statale e redistribuzione forzata della ricchezza. “Dominium non est nisi ex iusta causa et sine iniuria alterius” (La proprietà esiste solo per una causa giusta e senza ingiustizia per gli altri), afferma con apparente semplicità, mettendo però in discussione le moderne politiche fiscali e redistributive, che soffocano l’incentivo al lavoro e ostacolano la creazione di ricchezza.

Come si può costantemente rilevare, nell’epoca attuale e in qualsiasi latitudine il dibattito sulla proprietà e sulla giustizia distributiva torna ciclicamente al centro della scena. Dalla regolamentazione del mercato immobiliare alle tassazioni patrimoniali, fino alle politiche sul salario minimo, si ripropongono i dilemmi già affrontati dal gesuita spagnolo. La sua distinzione tra dominium utile e dominium eminens – cioè tra la proprietà privata effettiva e il diritto dello Stato di regolare il suo uso in casi di necessità pubblica – è oggi visibile nelle politiche di esproprio e regolazione della rendita immobiliare. Ma mentre alcuni tendono a considerare lo Stato come l’arbitro supremo, lo studioso di Salamanca avverte dei rischi di un potere eccessivo: “Nihil enim magis adversatur libertati hominis quam immoderata potestas principum” (Nulla è più avverso alla libertà dell’uomo di un potere eccessivo dei governanti). Ogni tentativo di controllo statale del mercato finisce per generare inefficienza e corruzione, portando più danni che benefici.

Detto ragionamento si applica in maniera diretta alle recenti misure di controllo sul mercato immobiliare, come gli affitti regolati in alcune capitali europee e americane. Se da un lato le leggi che impongono limiti ai prezzi degli affitti sembrano apparentemente rispondere a una necessità di equità sociale, dall’altro rischiano di creare effetti collaterali disastrosi, scoraggiando gli investimenti e aggravando la carenza di alloggi. La posizione del richiamato Molina è chiara: la proprietà è un diritto fondamentale, e ogni limitazione imposta dall’alto genera distorsioni economiche. La cosiddetta “giustizia sociale” altro non è che un pretesto per imporre una pianificazione economica inefficiente e dannosa.

Il suo pensiero è quindi attuale, come del resto appare anche nelle discussioni contemporanee sulla tassazione patrimoniale. L’idea di tassare i grandi patrimoni per redistribuire la ricchezza è stata rilanciata più volte, soprattutto in momenti di crisi economica. Il teologo spagnolo, pur riconoscendo il ruolo dello Stato nella gestione della giustizia distributiva, avverte che un’imposizione eccessiva può sfociare in un’ingiustizia maggiore: “Tributum debet esse moderatum, ne nimia onera civibus imponantur” (La tassazione deve essere moderata, per non imporre un peso eccessivo ai cittadini). Questo principio si scontra con le moderne proposte di tassazione pesante su beni immobili e patrimoni, che spesso finiscono per colpire non solo i grandi ricchi, ma anche la classe media e le piccole imprese, scoraggiando la crescita economica.

Anche il concetto di “giusto prezzo” (pretium iustum) sviluppato dal pensatore salmantino offre spunti di riflessione. Nel XVI secolo, il mercato era ancora largamente regolato da norme ecclesiastiche e consuetudini, eppure il pensatore comprende che il valore di un bene dipende dal contesto e non da un prezzo imposto dall’alto. “Pretium rerum non ex arbitrio principum, sed ex communi consensu mercatorum pendet” (Il prezzo delle cose non dipende dall’arbitrio dei governanti, ma dal consenso comune dei mercanti). Siffatta intuizione, che anticipa la moderna teoria della domanda e dell’offerta, dimostra l’ingenuità di certe politiche di controllo dei prezzi, che spesso finiscono per distorcere il mercato anziché garantire maggiore giustizia.

L’attualità dell’intellettuale scolastico non si ferma comunque all’economia. I suoi contributi sulla libertà individuale e sull’equilibrio tra diritto e moralità hanno implicazioni nel dibattito odierno sulla regolamentazione tecnologica e sulla privacy. Se nel XVI secolo il potere da temere era quello del sovrano, oggi la minaccia viene anche dalle grandi piattaforme digitali e dai governi che cercano di controllare sempre più le informazioni e i dati personali. L’idea che la libertà economica sia legata a quella politica e sociale trova una conferma diretta nelle discussioni attuali sulla libertà di espressione e sulla sorveglianza digitale.

Luis de Molina ci insegna che il diritto non è una semplice somma di norme astratte, ma il risultato di un equilibrio dinamico tra libertà individuale e bene comune. In un’epoca in cui governi e istituzioni sovranazionali impongono regolamentazioni sempre più invasive sulla vita economica e privata, la sua opera rappresenta un monito contro gli eccessi dell’interventismo e un appello a difendere la libertà come pilastro della società. Resta altresì un punto di riferimento per comprendere che la giustizia non è un’imposizione dall’alto, ma il frutto di un ordine spontaneo fondato sul rispetto reciproco e sull’armonia tra diritti e doveri.

Aggiornato il 18 marzo 2025 alle ore 12:58