
Accusato di cospirazione, eliminato senza processo, dipinto come un nemico dello Stato. La storia di Catilina è un monito su come, in ogni tempo, la giustizia possa essere usata come arma politica.
La figura di Lucio Sergio Catilina, ancora ai nostri giorni oggetto di acceso dibattito, incarna uno dei dilemmi più affascinanti della storia romana. Da secoli, il suo nome è associato alla famigerata congiura del 63 a.C., una presunta minaccia per la stabilità della Repubblica. Tuttavia, la narrazione che conosciamo proviene dai suoi avversari politici, primo fra tutti Marco Tullio Cicerone, che ne ha dipinto un ritratto spietato. Ma quanto è attendibile siffatta versione? E, soprattutto, chi era davvero il patrizio: un cospiratore ambizioso e senza scrupoli, oppure un riformatore radicale tradito dalla classe dirigente?
La principale accusa che gli è stata mossa è quella di aver orchestrato una congiura per sovvertire le istituzioni repubblicane. Cicerone, all’epoca console, sosteneva di avere prove schiaccianti del complotto. Tra esse, lettere intercettate in cui il suo antagonista avrebbe invitato alcuni senatori alla ribellione, testimonianze di delatori come Quinto Curio e Fulvia, e il presunto raduno di un esercito nei pressi di Fiesole. Nondimeno, la validità di siffatte prove è tutt’altro che certa. Le lettere non furono mai esibite pubblicamente e le testimonianze provenivano da personaggi dalla dubbia moralità. Curio, in particolare, era stato espulso dal Senato per cattiva condotta, mentre Fulvia aveva motivi personali per screditare l’accusato.
Ma se le prove erano così fragili, perché il patrizio romano, che era un aristocratico di nobile origine, lasciò Roma subito dopo il celebre discorso del retore di Arpino del 7 novembre? La fuga venne interpretata come una confessione implicita di colpevolezza, ma potrebbe essere letta anche in altro modo. Dopo essere stato dichiarato hostis publicus (nemico pubblico), il senatore romano sapeva che la sua vita era in pericolo e che restare a Roma avrebbe significato esporsi a un arresto immediato. Non si trattava necessariamente di un gesto colpevole, ma piuttosto di un tentativo di mettersi in salvo.
L’episodio della congiura di Catilina è solo uno dei tanti esempi storici di come la giustizia possa essere utilizzata come strumento politico. L’autore delle Catilinarie, pur presentandosi come difensore della Repubblica, ne piegò le istituzioni per eliminare un avversario, giustiziando senza processo i presunti congiurati (tra cui Publio Cornelio Lentulo Sura). Giustificò l’esecuzione immediata come un atto necessario per la salvezza della Repubblica (Salus publica suprema lex esto), ma violò apertamente il diritto dei cittadini romani all’appello al popolo (provocatio ad populum). Tale atto gli procurò l’odio dei popolari e la vendetta di Cesare, che sosteneva che anche i peggiori traditori avessero diritto a un giusto processo. Nel 58 a.C., Clodio, leader dei popolari e avversario di Cicerone, riuscì a far approvare una legge che condannava chiunque avesse fatto giustiziare cittadini romani senza alcun giudizio. Questo portò all’esilio dell’illustre statista, che venne costretto a lasciare Roma e subire la confisca dei beni: in pratica, e paradossalmente, lo stesso sistema che aveva difeso lo punì con le stesse logiche di vendetta politica. L’esilio, infatti, non era tanto una questione di giustizia, quanto un attacco politico orchestrato dai suoi nemici.
A differenza di Cicerone, Sallustio ha invece riconosciuto che Catilina aveva dalla sua parte anche persone che non erano criminali, ma cittadini esasperati da un sistema che li aveva esclusi. In tale contesto, ha descritto il declino morale della Repubblica e la corruzione senatoria, anticipando la crisi che avrebbe portato al crollo delle istituzioni repubblicane. Soprattutto nel Bellum Catilinae, che rappresenta una delle prime analisi politiche che hanno cercano di comprendere le cause di un fenomeno rivoluzionario senza limitarsi alla propaganda. Nonostante ciò, non ha assolto l’oppositore sebbene gli abbia attribuito una grandezza tragica che potrebbe essere eccessiva, trasformandolo in una sorta di “eroe ribelle”.
Nella realtà odierna, a distanza di oltre duemila anni, la questione dell’uso politico della giustizia è più attuale che mai.
In Italia, il rapporto tra politica e magistratura ha generato e continua a generare dispute, contrapposizioni e controversie che ricordano, sotto certi aspetti, le dinamiche dell’epoca romana. Il fenomeno del lawfare, ossia l’uso della giustizia per colpire avversari politici, è diventato infatti un tema ricorrente, anzi molto ricorrente, nel dibattito pubblico. La strumentalizzazione delle indagini, la fuga di notizie riservate e il peso mediatico dei processi hanno spesso avuto un impatto devastante sulla vita politica del Paese.
Come Cicerone usò la retorica e il potere consolare per annientare l’avversario, così nell’attuale momento storico le inchieste giudiziarie possono diventare un’arma per delegittimare esponenti politici scomodi. La storia recente offre numerosi esempi di leader travolti da indagini rivelatesi poi inconsistenti, ma che nel frattempo hanno compromesso carriere e alterato gli equilibri politici. Anche in democrazia, l’accusa di essere “nemico dello Stato” – nelle forme moderne di “corrotto”, “eversivo” o “impresentabile” – è ancora uno strumento potente per escludere qualcuno dal gioco politico.
Se la lezione della vicenda di Catilina è ancora valida, essa ci ricorda che la giustizia non dovrebbe mai essere subordinata agli interessi di parte. Adesso come allora, il vero pericolo non viene solo da chi trama nell’ombra, ma anche da chi usa il diritto per consolidare il proprio potere.
In definitiva, il famoso protagonista della congiura potrebbe essere stato un uomo ambizioso e controverso, ma la sua vicenda resta un monito per il presente. La libertà non si tutela opponendosi a ogni riforma, ma riconoscendo che il cambiamento s’impone per evitare che un sistema degeneri in oppressione. Come ci ricorda Tacito: “Gli uomini si oppongono alle riforme non perché le disprezzano, ma perché temono di perdere i propri privilegi”.
Aggiornato il 28 febbraio 2025 alle ore 11:23