Riformare in medias res la vita tecnologica dell’Europa

Leggere il rapporto Draghi alla luce liberale del Manifesto di Oxford

Un po’ di storia. Ai tempi delle paure europee dopo due guerre mondiali, nell’aprile 1947 i liberali di 19 nazioni si riunirono a Oxford, convinti che le persistenti povertà di quel momento derivassero dall’abbandono dei princìpi liberali. Illuminati dalle libertà, troppo spesso contingentate quando non del tutto soppresse, redassero il cosiddetto Manifesto di Oxford.

Veniamo all’oggi. Nella necessità di ritracciare le geometrie fondamentali dei rapporti tra gli individui e gli Stati nazionali, così come tra gli individui e gli enti sovranazionali, quel Manifesto risuona attuale: incompiuto ma realizzabile, sicuramente integrabile. In esso, al punto 3 della prima parte, vi è scritto che lo Stato “è soltanto uno strumento della comunità: esso non deve assumere alcun potere che possa venire in conflitto con i diritti fondamentali dei cittadini e con le condizioni indispensabili per una vita responsabile e creativa”.

Ai tempi del Next Generation Eu e del Pnrr, strumenti utili ma non panacee esistenziali per la vita economica nonché geopolitica dell’Europa, ha fatto riflettere il rapporto sul futuro della competitività europea presentato da Mario Draghi il 9 settembre 2024, in una conferenza stampa congiunta con la Presidente della Commissione europea von der Leyen.

Ma andiamo oltre i manierismi e le esclamazioni tecnico-intellettuali. Occorre infatti che il rapporto Draghi irrompa nella storia europea attraverso equilibrati processi nazionali di maturazione politica e sedimentazione culturale. Con esso possiamo provare ad entrare in medias res nelle vite concrete delle persone, dalle istituzioni alle imprese. È possibile connettersi alla ratio riformista del rapporto Draghi solo rifuggendo le contorte ossature del burocratese. Occorre farlo da liberali.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, a dirla con Antoine de Saint-Exupéry e, spesso, risiede nello spirito dei popoli, fatti di individui elastici sì, ma non più disposti a farsi ipotecare il futuro subendo ulteriori politiche di spesa pubblica in eccesso, e per di più a digiuno di sviluppi industriali o di benessere tecnologico.

Sulla tecnologia del benessere dobbiamo investire subito, affinché l’Ia generativa e tutte le digitalizzazioni che verranno siano sempre canalizzate su vie operative e infrastrutturali escogitate per migliorare o semplificare la vita, e non per estinguere tradizioni, radici, lavoro, artigianato, sapienza critica, privacy e rappresentanza popolare. Dobbiamo quindi valorizzare il rapporto Draghi che sollecita i sistemi istituzionali a riformare il prossimo programma quadro di ricerca e innovazione dell’Ue con un numero minore di priorità condivise, ma con una più efficiente allocazione degli stanziamenti finanziari. Questi ultimi risultano frammentati e ciò incrementa l’inefficienza pubblica.

Per la ricerca e l’innovazione in termini di percentuale sul Pil i singoli Paesi membri dell’Ue spendono complessivamente risorse simili a quelle degli Usa ma soltanto un decimo della spesa avviene al livello europeo.

Potremmo attribuire all’Ue poteri accentrati di spesa tecnologica, anche ai fini militari, per fare dell’Europa una terra federata con poche ma chiare funzioni sfidanti, crocevia imperiale tra gli imperi degli estremi orienti e occidenti.

Leggere il rapporto Draghi alla luce del sempre attuale Manifesto di Oxford diventa una responsabilità liberaldemocratica.

Aggiornato il 24 febbraio 2025 alle ore 10:13