
Il cosiddetto “Belpaese” Italia non smette mai di sorprendere per le sue surreali e grottesche iniquità, a cominciare dalla diversità di trattamento che il suo sistema giustizia riserva ai propri cittadini. Infatti, qualora un cittadino compia un delitto (anche efferato) ha, per principio costituzionale stabilito al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione, diritto a essere rieducato per essere reinserito nella società, ciò anche a scapito della certezza della pena che dovrebbe scontare, con assoluta indifferenza nei riguardi della vittima del reato e dei suoi parenti. Mentre, se un cittadino, come persona fisica o imprenditore, è indiziato di qualche illecito tributario, diventa per lo Stato italiano una sorta di spregevole delinquente, immeritevole di quello stesso principio garantista che è invece assicurato agli assassini di qualsiasi specie. Questa dicotomica e ingiusta disparità è stata l’oggetto della recente sentenza che ha emesso la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), con la quale è stata condannata l’Italia per le sue procedure ispettive fiscali compiute a danno dei cittadini. L’articolo 8 della Cedu si occupa di garantire il diritto al rispetto della vita privata e familiare, stabilendo che:
1) Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2) Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
In riferimento a tale articolo la Cedu (nel prosieguo, anche Corte) ha condannato l’Italia perché le ispezioni fiscali compiute dalle sue autorità devono essere rispettose dei diritti umani, dal momento che in una società democratica esse devono essere inconfutabilmente imprescindibili dalla riserva di legge, in quanto, altresì, non possono non essere finalizzate a degli scopi tanto legittimi quanto estremamente precisi e regolamentati, come la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico e la prevenzione dei reati. Pertanto, la Corte ha ritenuto che i controlli della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle Entrate, così come disciplinati in Italia, non rispettano questi criteri, per i seguenti motivi:
1) Mancano limiti chiari su durata, estensione e modalità dei controlli.
2) Non c’è un controllo giudiziario preventivo o successivo sulla proporzionalità dell’intervento.
3) Le ispezioni possono risultare arbitrarie perché i contribuenti non hanno strumenti rapidi per contestarle.
Questa decisione non mette in discussione la legittimità dei controlli fiscali in sé, ma obbliga l’Italia a riformarne le modalità per renderle compatibili con i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione. La suesposta sentenza della Cedu rappresenta un duro colpo per il sistema dei controlli fiscali italiani, che ora dovrà essere rivisto per evitare nuove condanne. Il punto centrale della decisione è l’assenza di limiti chiari e di controlli indipendenti sulle ispezioni fiscali condotte dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle Entrate. Secondo la Corte, la normativa italiana consente un’ingerenza potenzialmente arbitraria nella sfera privata delle aziende e dei professionisti, in violazione dell’articolo 8 della Cedu. Di seguito si enucleano le conseguenze pratiche della sentenza:
1) L’Italia dovrà adeguare la normativa per garantire un maggiore equilibrio tra le esigenze di contrasto all’evasione e la tutela dei diritti fondamentali.
2) Potrebbero essere introdotti limiti più stringenti ai poteri ispettivi, come l’obbligo di un’autorizzazione giudiziaria preventiva o di una verifica successiva sulla proporzionalità dell’intervento.
3) La sentenza potrebbe aprire la strada a nuove contestazioni da parte dei contribuenti che si ritengono lesi da ispezioni fiscali eccessivamente invasive.
A tale riguardo, entrando nel merito della succitata importante sentenza, la Corte, ha condannato l’Italia disponendo dei risarcimenti a favore di 13 aziende, in quanto le verifiche fiscali – compresi ispezioni e accessi – risultano lesive dei diritti umani poiché violano la privacy. Inoltre, secondo la Cedu, il sistema italiano non offre adeguate protezioni e garanzie per i contribuenti. Tale decisione sorge a seguito di alcuni controlli fiscali attuati dalla Guardia di finanza su tredici aziende ubicate nella provincia di Foggia. Nonostante la normativa italiana sia piuttosto dettagliata relativamente agli accessi e ai controlli nelle sedi aziendali, ciò non è stato sufficiente per evitare l’attivazione di una procedura da parte della Cedu per violazione dei diritti umani. La condanna per violazione dei diritti umani è riferita alle condotte della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle Entrate che, tra il 2018 e il 2022, hanno effettuato delle ispezioni presso le sedi di tredici aziende, con accessi fisici e il sequestro di documenti contabili e fiscali e dando luogo a una potenziale violazione della privacy e dell’inviolabilità del domicilio. A seguito di queste operazioni, le aziende hanno presentato ricorso, inducendo la Corte a condannare l’Italia a risarcire ciascuna impresa con un importo di 3.200 euro. La Cedu ha invitato l’Italia a rivedere le procedure in materia di accesso e ispezione, insistendo sui punti chiave riguardanti le giustificazioni necessarie per effettuare i succitati accessi.
La Corte ha messo in evidenza come la Guardia di finanza e l’Agenzia delle Entrate esercitino un potere discrezionale illimitato riguardo alle modalità e alle condizioni delle verifiche. In sostanza, non vi è una chiara regolamentazione sui casi in cui possa essere autorizzato l’accesso ai locali per le ispezioni da parte di queste autorità e non risultano adeguatamente codificate le tipologie di controlli effettuabili in sede. In questo modo, si determina un eccesso di potere a danno dei contribuenti, esponendo sia le aziende sia i cittadini a possibili violazioni dei loro diritti. Invero, la Cedu sottolinea che, indipendentemente dalla scoperta di effettive irregolarità, come l’evasione fiscale, la lotta contro tale fenomeno non deve compromettere il diritto alla difesa e alle protezioni fondamentali. La Corte ha evidenziato che la legislazione nazionale deve fornire una chiara definizione delle circostanze e delle condizioni che giustificano l’accesso per le ispezioni, ciò al fine di garantire un controllo costante sull’operato degli ispettori.
Inoltre, è stato evidenziato che la normativa italiana deve contenere misure che consentano a imprese e professionisti di verificare se le autorità rispettino i criteri e le condizioni di accesso. L’Italia è ora costretta a riformare le disposizioni riguardanti gli accessi e le ispezioni fiscali, affinché tali operazioni siano condotte nel rispetto dei diritti umani. In caso contrario, chiunque si trovi sottoposto a ispezioni e verifiche potrebbe avviare ricorsi per violazione dei diritti umani, portando l’Italia a trovarsi in una condizione di continua esposizione al rischio di dover risarcire danni legati alle attività di controllo. Qualora il Governo non intervenisse con una riforma normativa, potrebbero comminarsi ulteriori condanne in futuro nei suoi riguardi. Al postutto, bisognerà capire quali soluzioni verranno adottate dal legislatore italiano per bilanciare il potere di controllo dell’amministrazione finanziaria con le garanzie previste dalla Cedu.
Aggiornato il 17 febbraio 2025 alle ore 13:21