
Il presidente della Repubblica come rappresentante dell’unità nazionale
L’articolo 87, comma 1, della Costituzione vigente attribuisce al presidente della Repubblica il ruolo di rappresentante dell’unità nazionale. È evidente, dunque, che ogni attacco irrispettoso nei suoi confronti, equivale, come ha sottolineato anche la presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni, a un’offesa all’intera Nazione. Tuttavia, lungi dall’essere un superfluo pleonasmo, l’espressione in esame assolve una importante funzione di sintesi attraverso la quale il capo dello Stato assicura i valori e i principi di permanenza, unitarietà ed integrità costituzionale. Tra questi spiccano i caratteri democratico, policratico ed unitario dell’intero ordinamento giuridico e delle sue componenti. Ora, al fine di mantenere quel "perenne plebiscito", dal quale scaturisce l’unità della Nazione nel suo concreto divenire storico, è necessario che l’alta funzione di rappresentanza sia costante per tutto il settennato e venga esercitata senza alcun tipo di cedimento, richiedendo sempre un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi costituzionali in gioco.
In caso contrario, il rischio è quello di una rappresentanza dell’unità nazionale a “corrente alternata”, ovvero modulabile a seconda delle circostanze e dei momenti. Quando è stata tutelata la rappresentanza dell’unità nazionale durante il periodo pandemico in cui coloro i quali esprimevano dubbi e perplessità sul piano giuridico, scientifico ed etico venivano quasi quotidianamente insultati da una certa stampa e da una parte della società civile, nonostante una normativa che, in alcun modo, assicurava il “contenuto essenziale” o meglio la “minima operatività” di quei diritti costituzionali cedenti rispetto alla salute quale interesse della collettività? E non è sufficiente invocare le sentenze della Corte costituzionale del 2023, le quali non hanno “salvato” l’obbligo di vaccinazione, ma si soltanto limitate a dichiarare non fondate (e in parte inammissibili) le questioni di legittimità sollevate in via incidentale (ricordiamo che una pronuncia di rigetto, nel sistema di giustizia costituzionale italiana, non è equiparata ad una dichiarazione di conformità a Costituzione).
L’uomo con la sua dignità, così centrale (ci dicono) nell’architettura costituzionale in ragione dell’anfibio principio personalistico di cui all’articolo 2 del Testo fondamentale del 1948, è, a seguito delle pronunce del 2023, ancora un bene-fine, oppure è divenuto un bene-mezzo declinato nella prospettiva della salute collettiva (i cui strumenti di protezione si sono rivelati inadatti a garantire un ambiente immune dal contagio)?
E dov’era la rappresentanza (che implica anche la custodia) dell’unità nazionale dopo il Trattato di Maastricht del 1992 (in vigore dal 1 novembre 1993), che ha gradualmente e progressivamente comportato, in assenza di revisioni alla Costituzione ex articolo 138, lo stravolgimento dello Stato sociale di diritto, con la trasformazione dello stesso in un attore globale perfettamente integrato negli scambi dei mercati finanziari e con gravi ripercussioni sulla tenuta del principio di eguaglianza sostanziale, di cui al comma 2 dell’articolo 3 della Costituzione italiana?
(*) Professore strutturato in Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato presso la Ssml/Istituto di grado universitario “San Domenico” di Roma. Dottore di ricerca in Istituzioni di Diritto pubblico
Aggiornato il 17 febbraio 2025 alle ore 16:32