Antisemitismo e storia

Hermann Rauschning, esponente di rilievo del nazionalsocialismo e già massimo responsabile del Governo della Città libera di Danzica dal 1933 al 1934 decide alla fine di quest’ultimo anno, dopo avere preso consapevolezza circa la forza distruttiva rappresentata dal nazismo, d’interrompere i suoi legami con Adolf Hitler, riuscendo a fuggire prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Una volta raggiunta Londra cerca in tutti modi di sensibilizzare l’establishment britannico circa il pericolo che Hitler rappresenta per il futuro dell’Europa e per la sicurezza del popolo ebraico. Si scontra, però, con un muro d’indifferenza che regna a Downing street sulla questione tedesca.

Lord Chamberlain è convinto che “Hitler è solo l’autore del Mein Kampf”. La sottovalutazione del primo ministro inglese rimanda a una riflessione fatta dallo storico Marc Bloch (ucciso dai nazisti il 16 giugno 1944) secondo cui “vi sono tornanti nella storia di particolare complessità che per essere compresi e governati richiedono la presenza di leader all’altezza di tali difficoltà”. Talché, in assenza di coraggiose leadership gli sviluppi nel tempo non possono che essere disastrosi. Ed è precisamente ciò che è avvenuto in Europa laddove per molti anni vi è stato un atteggiamento teso a sminuire la forza del nazionalsocialismo e dei progetti anti-ebraici di Adolf Hitler. Del resto, è proprio Hitler che nell’ottobre 1931 affida al periodico conservatore inglese, The Saturday Review, i suoi progetti futuri quando scrive che “in Germania vi è una nuova, giovane e pura razza tedesca che sta combattendo per i propri diritti e per il proprio spazio vitale… se ci saranno degli ostacoli, noi guarderemo al futuro con decisione, senza paura e senza temere alcun pericolo”.

Parole che non si prestano ad equivoco alcuno. Tuttavia, nessuno dei governanti democratici del Vecchio continente prese sul serio tali minacce, preferendo derubricarle a mere esternazioni propagandistiche e nulla più. Tant’è che a partire dal gennaio 1933, il führer riuscì (beffandosi delle norme contenute nel Trattato di Versailles) a costruire solide basi militari per realizzare i suoi piani criminali. “Il ritardo con cui le Nazioni europee affrontarono la questione del nazionalsocialismo ‒ osserva Joachim Fest in Hitler, una biografia ‒ rimane ancora oggi qualcosa non del tutto comprensibile anche per gli stessi storici. Infatti, si deve attendere la fine degli anni Trenta, affinché le democrazie europee prendano piena coscienza circa la natura del fenomeno nazista e del grave errore commesso nel sottovalutarne la portata negativa”. Una “distrazione” che sfociò nel Secondo conflitto mondiale con le mostruosità dei campi di sterminio.

In un periodo in cui gli episodi di antisemitismo sono sempre più frequenti in tutta Europa alimentati sia dal fondamentalismo islamico che dalla demagogia dei movimenti pro-Palestina, la lezione da trarre dagli errori commessi nel secolo scorso è quella di riuscire a cogliere in tempo i segnali degenerativi per arginarli sul piano civile e politico.

Ammoniva Primo Levi: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo”. La riflessione da fare in occasione del Giorno della Memoria è se, a differenza di quanto accaduto in passato, il Vecchio Continente abbia “leader all’altezza della complessità” dell’attuale momento storico.

Aggiornato il 29 gennaio 2025 alle ore 13:24