Gli interessi dei cittadini in primis

Le recenti proteste della magistratura durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario a Roma, Genova, Milano, Bologna, Napoli e l’annunciato sciopero generale del 27 febbraio, si fondano sulle motivazioni della separazione delle carriere e pongono una riflessione modesta, ma semplice. Senza entrare nel merito della discussione relativa, che lascio ai più competenti, mi limito ad evidenziare che i magistrati sono funzionari dello Stato e devono sottostare alle norme del Testo unico del 1957 e una loro seppure legittima rivendicazione si ripercuote negativamente non solo contro loro stessi, come categoria, ma contro i cittadini. Alla gente poco importa, e poco sa della differenza tra pubblici ministeri e giudicanti, a interessa che i processi non durino 10 e 15 anni come personalmente ho potuto appurare mentre lavoravo come Giudice onorario di tribunale, penalizzando così due volte il cittadino, che deve anche pagare, quando lo Stato italiano viene condannato da Strasburgo a centinaia di milioni di euro ogni anno, per ritardata o denegata giustizia.

E poi perché i magistrati, che non sono solerti nell’adempimento del loro lavoro, non vengono sanzionati come qualsiasi funzionario, sul piano economico? La gente non sa che i magistrati non sono puniti quando non depositano le sentenze sia in un tribunale che in Corte di giustizia tributaria, addirittura dopo un anno se non di più? Il magistrato, come ogni funzionario dello Stato, dovrebbe timbrare ogni giorno quando esercita la sua attività in un ufficio giudiziario. Non è possibile vedere i magistrati solo due o tre giorni a settimana durante le loro udienze, motivando la loro assenza con il lavoro a casa. Bisognerebbe abolire il periodo feriale, cioè quel mese, in cui la giustizia si ferma, ad eccezione dei processi penali per direttissima. Ma come? Ci scandalizziamo che i processi civili durino in media 10 anni e poi permettiamo ai tribunali di chiudere un mese?

Mi viene in mente una nota citazione di Sergio Marchionne che, al suo periodo iniziale in Fiat, raccontò di una visita in sede in pieno agosto, in cui trovò tutti in ferie. In quel periodo l’azienda perdeva milioni al giorno, e divenne quindi celebre la citazione: “Ma in ferie da cosa?”. Il concetto può essere agevolmente ribaltato sul tema della giustizia. A ciò aggiungiamo che i magistrati godono anche del mese di congedo ordinario come tutti i lavoratori statali, finendo di lavorare circa 100 giorni all’anno, sensibilmente meno rispetto agli altri dipendenti della giustizia e dello Stato. Non sarebbe forse ora di abolire quella norma di sospensione feriale obsoleta, ritardante e inutile per la giustizia? Stimolando al contempo una maggiore presenza dei magistrati negli uffici giudiziari, quasi tutti i giorni come gli altri dipendenti della giustizia e non solo tre giorni a settimana, quando sono fissate le udienze, senza alcun controllo. Allora finiamola con inutili piagnistei e vittimismi di parte di alcuni magistrati che dovrebbero fare un Mea culpa e rinunciare alle ferie, in favore dei cittadini. Ritengo che sarebbe opportuno eliminare quel cordone economico tra magistratura e politica. Mi riferisco al fatto che pochi sanno: ogni volta che il Parlamento decide un aumento di stipendio per i magistrati, automaticamente l’aumento viene esteso anche ai parlamentari, e così succede anche quando l’aumento viene deciso per i parlamentari. Lo stesso si estende anche ai magistrati.

Per concludere, propongo tre semplici articoli per “curare” la giustizia: il primo, che fissa un termine di 3 anni per la conclusione di un processo civile; il secondo, che fissa un termine di due anni per la conclusione di un processo penale; il terzo e ultimo articolo, che disponga una sanzione disciplinare ed economica nei confronti dei magistrati che non ottemperano a tali articoli. Se veramente la presidente del Consiglio, il Parlamento e la magistratura intendono cambiare rotta, avendo ormai toccato il fondo e raggiunto i minimi storici di credibilità della gente, accentuando il divario tra Paese reale e Paese legale, occorre un’immediata non procrastinabile inversione di tendenza, affrontando non con il fioretto, ma con la spada una vera riforma della giustizia.

Aggiornato il 28 gennaio 2025 alle ore 13:07