Centrismo, centristi e Quirinale prossimo venturo

Una malignità che circola nelle aule e nei recessi del Parlamento insinua che, appena eletti, deputati o senatori, aspirano almeno al sottosegretariato; alla seconda elezione, rivendicano il diritto a un ministero; dalla terza in poi, sono pronti per il Quirinale, piuttosto che per Palazzo Chigi. L’aspirazione al colle più alto, all’onore politico più grande, è inconfessabile quanto difficilissima da realizzare. Nondimeno comincia a circolare quando il presidente in carica svolta la curva di metà mandato. Sergio Mattarella, il secondo presidente al secondo mandato, dopo Giorgio Napolitano, è il primo per durata in carica: il prossimo 31 gennaio saranno dieci anni dalla prima elezione al Quirinale e tre anni dalla rielezione. Dunque con Mattarella non siamo ancora alla svolta fatidica, ma i tempi sono cambiati.

Governa la destra dal 2022, stesso anno della seconda elezione di Mattarella a capo dello Stato. La sinistra sopravvive, però non ha smaltito né la batosta elettorale e politica né lo shock dei “post(?)fascisti” alla guida dell’Esecutivo. Mentre il presidente Giorgia Meloni assurge a campionessa (campione, forse?) della stabilità del sistema italiano (chi l’avrebbe detto!), il variegato fronte della sinistra è schierato in campo largo mentre i centristi ricercano un centro come limes, cioè confine o, meglio, vallum, cioè argine, contro l’avanzata dell’esercito meloniano (melonista, forse?).

Il “centrismo politico” in Italia è stato una cosa seria. Anzi, serissima. Ha fatto l’Italia nel Risorgimento e l’ha rifatta dopo il fascismo: età cavouriana, età degasperiana. Poi il centrismo è ritornato di tanto in tanto, ma come velleitaria imitazione del passato oppure come illusorio protagonismo. Ma da chi dovrebbe difendere gl’Italiani il centrismo in fregola di aggregazioni e movimentismo, che talvolta risorge dopo le gelate come un gracile fiorellino? Dichiarano i centristi di voler incarnare la moderazione in politica. Seppure la moderazione fosse di per sé, a prescindere, una virtù politica, sottintendono il centrismo come un pendolo oscillante anziché il giusto mezzo alla stregua della mesòtes aristotelica. Storicamente, in Italia il centrismo decisivo guida, non è guidato; aggrega, non si aggrega. Per quanto i sedicenti centristi siano oggi in una fase di irrequietezza politica, non allontanano l’impressione di futilità e inutilità, di girare in tondo, in una situazione di sostanziale inconcludenza. Come diceva Voltaire, “è un pregiudizio credere che le anguille guariscano dalla paralisi sol perché si agitano sempre.”

Quel perfido di Fabrizio Roncone ha preso di mira un leader del centrismo contemporaneo, tal Matteo Renzi, che, tagliando il traguardo del cinquantesimo anno, ha riunito un drappello di amici, all’apparenza centristi, intorno alla torta di compleanno. Il nostro Roncone ha notato che Pier Ferdinando Casini non era lì a festeggiare Renzi, il fu astro nascente democristiano che, infiltrato nel Pd, lo usò per diventare presidente del Consiglio in tenerissima età. Roncone si è meravigliato dell’assenza. E ci ha invitato a fare attenzione: “I due sono molto amici. E Renzi aveva pensato, e diciamo che ancora pensa, proprio a Casini come leader del nuovo centro. Lo reputa il personaggio giusto. Con i cromosomi perfetti per federare le diverse anime di un partito centrista da affiancare al Pd” (Corriere della Sera,17 gennaio 25). Un centro, ovviamente, ecumenico: cattolico, liberale, riformista (sic!).

Il callido Roncone ci informa che “Casini avrebbe declinato (legittimamente, continua a pensare al Quirinale). Renzi ha finto di capire.” Insomma un ammiccamento ad altissimo tasso di democristianità o, se preferite, di machiavellismo ribollito. Però, però… Non è che Roncone stia insinuando un’aspirazione (ambizione, forse?) che Casini non nutra, bensì ci dà una “non-notizia”. Casini, infatti, si iscrisse lattante alla Dc come trampolino di lancio per la presidenza della Repubblica. In mezzo secolo di onorata e fortunata carriera parlamentare è rimasto sempre attestato al centro dell’arco politico, pure quando a periodi pencolò a destra e sinistra, senza mai cadervi. Una coerenza che torna a suo onore, mentre al Diavolo potrebbe apparire convenienza, se l’ardente fede di Casini non tenesse alla larga il Maligno. Il fatto è che i Costituenti, nell’elaborare la Costituzione, ebbero ben presenti le doti del nascituro democristiano e tagliarono l’abito del presidente della Repubblica sulle misure dell’adulto.  Fu così che Casini poté sembrare, erroneamente, un predestinato mentre era stato realmente concepito come presidente della Repubblica. Perciò, i parlamentari presenti e futuri devono mettersi l’anima in pace. Dopo Mattarella, il Quirinale è prenotato. Casini first!

Aggiornato il 24 gennaio 2025 alle ore 15:19