Morte di un ragazzo

A Luca Palmegiani 

Signori benpensanti

Spero non vi dispiaccia

Se in cielo, in mezzo ai Santi

Dio, fra le sue braccia

Soffocherà il singhiozzo

Di quelle labbra smorte

Che all’odio e all’ignoranza

Preferirono la morte

È una preghiera, questa di Fabrizio De André, che cadde in gennaio anche l’anno in cui venne scritta. Le sue parole, le sue invocazioni, così laiche eppure permeate di una religiosità pura e innocente, hanno fatto capolino nella mia memoria dopo la morte di Luca. Non conoscevo Luca. Ma i suoi occhi li ho incrociati incontrando tanti ragazzi che, come lui e come me, frequentavano gli appuntamenti politici. Gli eventi di partito. Del nostro, di Forza Italia. Dove si parlava di progetti e di cambiamenti da orientare; dove si dava testimonianza di identità e ideali e si viveva un’esperienza comunitaria; dove i ragazzi assaporavano aromi di una maturità ancora avvolta da uno strato d’incanto e di sogno. Qui Luca si sentiva a casa, come d’altronde capitava a tutti noi. Poi vai a capire come mai dietro quel sorriso si celava un vuoto immenso dove anche una lacrima avrebbe contribuito ad innaffiare un poco di speranza. E invece.

E invece è accaduto che, mentre avrai sentito parlare dello spirito del ’94, dentro di te pian piano si stava spegnendo una fiammella, mentre avrai parlato di libertà dentro ti sarai sentito in gabbia, mentre avrai discettato della centralità della persona ecco che il tuo io si sarà sentito marginale, irrilevante e insulso rispetto a quel malessere così grande e assurdo. Magari difendevi la politica dai tanti che la oltraggiano e nello stesso momento la tua vita veniva oltraggiata da quello che Churchill chiamava il cane nero. Il male oscuro. Chissà, forse molto più di noi avevi capito l’importanza e la bellezza di essere un liberale, perché solamente chi sente ridursi gli spazi di libertà più intimi, quelli del proprio animo, comprende il valore profondo dell’indipendenza e del sano individualismo.

Se potevi essere aiutato? Beh, più che un dubbio o un quesito angosciante, rimarrà ora e sempre una mera ipotesi di scuola. Siamo immersi in parole scritte, pittografate, orali sebbene a volte si tratta di termini anemici. Forse dovremmo riversare nel linguaggio quotidiano più densità di significato, per lo meno avere la consapevolezza che ascoltare è piacevole quanto parlare. Gli incontri, fortuiti o meno, che hanno come incipit il classico “Ciao! Come sto?” possono farci ricordare la nostra esistenza, ma la percezione dell’altro, il sentore che non siamo soli e che ciascuno di noi potenzialmente è funzionale al benessere altrui non può che prescindere dal “Se vuoi ci sono”. E ora non rimane che una preghiera in gennaio per Luca. Una preghiera. Preghiera ha la stessa radice di precario. Del resto, si prega per una mancanza, per una fragilità, per un qualcosa di incompiuto. Si prega per avere certezze in un mondo dove vige il provvisorio, dove ogni qualvolta si tenta un accenno di piano accade che poi il caso se ne freghi e le natura se la rida. Siamo canne al vento. Oggi quella di Luca non ha retto alla buriana e si è spezzata. Il carrozzone a volte accoglie fuscelli giovani e li pone accanto alle sue regine e ai suoi re. 

Addio, giovane forzista.

Aggiornato il 13 gennaio 2025 alle ore 13:24