Strano e complicatissimo caso, quello di Cecilia Sala. Premettiamo che ci sentiamo umanamente vicini alla giornalista italiana, vittima sfortunata di un’operazione politica ad alto livello in cui, come sappiamo, si è ritrovata per fatalità. Sfortunata fino ad un certo punto, però.
Negli ultimi tempi si è fatto un discutere enorme sui rimpatri degli extracomunitari, vietati verso i Paesi a rischio. Abbiamo infatti provveduto a impedire agli emigrati il ritorno forzato nella loro patria se giudicata (da noi occidentali) pericolosa, ma ci siamo dimenticati di considerare che quei Paesi fossero pericolosi anche per noi, e di vietare agli italiani di recarvisi. E non crediamo che ci sia paese più a rischio dell’Iran, specialmente per una ragazza occidentale. In Europa siamo così convinti delle teorie progressiste, da non riuscire proprio a credere che le diversità esistano davvero, nel mondo reale. Convinti, come peraltro lo sono loro, ciascuno della giustezza delle proprie idee, ci ostiniamo a cercare di integrare stranieri che non hanno nessuna voglia, neanche lontana, di farlo. Non solo: ci addossiamo la colpa dei fallimenti di questi nostri tentativi di integrazione e ci sentiamo molto umani proprio quando dimentichiamo, insistendo con questi tentativi, che sono umani anche loro e non si possono addomesticare come gli animali.
Forse è proprio questa sensazione di presuntuosa onnipotenza che ci spinge a crederci superiori quando vogliamo essere accoglienti. Ed è proprio questa sensazione che deve aver spinto al contrario la povera Cecilia ad affrontare con coraggio, forse addirittura con spavalderia, la sua missione in Iran. Non l’ha fermata la legge, non l’ha fermata la famiglia e nemmeno il fidanzato, ma l’ha fermata l’Iran per una coincidenza particolarmente sfortunata, quella dell’arresto di Mohammad Abedini qui in Italia, che ha spinto i furbi dirigenti iraniani a prendere l’occasione al balzo per avanzare il loro ricatto: arrestare l’italiana solo per usarla come merce di scambio.
Deplorevole azione, ma a loro cosa importa della giustizia e della lealtà? Detto fatto, Sala è in catene e sono catene ben peggiori di quelle di Ilaria Salis in Ungheria: Cecilia è lì, pare in una minuscola cella illuminata a giorno anche di notte, addirittura a dormire per terra (immaginiamo il cibo e l’igiene concessa), isolata e senza sapere nulla sul suo destino, anche prossimo. Adesso, solo adesso dice: “fate presto!”
Molti dicono che se l’è cercata e – se togliamo l’istintivo affetto per una giovane connazionale – come dar loro torto? Oltretutto è una giornalista e avrebbe dovuto sapere dei rischi che ha preso e in cui ha trascinato tutti noi! Stavolta non vorremmo essere nei panni di Giorgia Meloni, infatti, costretta a decidere se salvare un’italiana, oltretutto in questo caso innocente, restituendo all’Iran l’ostaggio Abedini, ma di fatto aprendo, con quest’azione eventuale, una crisi con gli Stati Uniti, che vogliono estradarlo a loro volta. Proprio ora che con enorme fatica era riuscita a mettersi nelle loro grazie.
Aggiornato il 03 gennaio 2025 alle ore 13:02