L’Iran, Cecilia Sala e l’ipocrisia occidentale

La notizia dell’arresto della giornalista Cecilia Sala tiene banco da giorni. E verrebbe da dire per fortuna. Ma proprio questo evento fornisce l’ennesimo esempio lampante di uno dei peggiori vizi della società odierna: l’ipocrisia dilagante che riesce a travolgere tutto e tutti, con buona pace della coerenza e della non scontata ragione.

I fatti ci raccontano che Cecilia è stata arrestata il 19 dicembre 2024, ma la notizia della sua detenzione nel carcere di Evin è stata data con una decina di giorni di ritardo, a ridosso di Capodanno, per ragioni di sicurezza. Il governo si è subito mosso per riportare a casa la nostra concittadina. Perché un qualsiasi governo dovrebbe sempre tutelare i propri cittadini. A scanso di equivoci è bene ribadirlo: è giusto e sacrosanto attivare la macchina politica ed internazionale per tutelare ogni cittadino italiano in pericolo nel mondo. A prescindere se ci stia simpatico o meno, se si condividano idee e azioni della persona che ha il diritto di essere aiutata.

Infatti, ieri pomeriggio si è tenuto un vertice a Palazzo Chigi tra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il Sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano e i Servizi di intelligence.

Però, la speranza di aver appena iniziato un anno portatore di buone novelle si infrange drammaticamente davanti alle dichiarazioni dei soliti fin troppo noti. Per esempio, in una nota, la segretaria del Pd Elly Schlein e il responsabile Esteri del Partito Democratico Peppe Provenzano hanno affermato: “Cecilia Sala va liberata e riportata a casa. È la priorità assoluta. Per questo, in contatto col Governo, ci siamo attenuti alla massima discrezione richiesta. Ma le notizie sulle sue condizioni di detenzione sono allarmanti. Il trattamento inumano che sta subendo è inaccettabile. Nella piena collaborazione fin qui assicurata, chiediamo al Governo, nelle forme che la delicatezza della vicenda prevede, la condivisione con tutte le forze politiche delle iniziative intraprese per la sua liberazione. Al tempo stesso, con voce univoca ci si adoperi affinché sia garantito il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Calpestare la dignità di Sala significa calpestare la dignità dell’Italia”.

Le “condizioni di detenzione allarmanti” e “il trattamento inumano” a cui si riferiscono è il fatto che Cecilia sia costretta a dormire per terra e non abbia la possibilità di avere i suoi occhiali, come ha riportato per primo Il Post, sempre ieri, a seguito di una telefonata della giornalista con la sua famiglia.  Inoltre, non le sarebbe stato ancora consegnato un pacco contenente articoli per l’igiene, 4 libri, delle sigarette, un panettone e una mascherina per coprire gli occhi, dato che nella cella in cui si trova c’è solo un faro con la luce sempre accesa.

Ora, in un Paese dove vige un regime autoritario, travolto dalle proteste civili che durano da più di due anni, dove basta un niente per essere uccisi, si potrebbe anche constatare che Cecilia è abbastanza fortunata ad essere viva, a non essere stata stuprata, seviziata o torturata. Da cittadina italiana, nonostante la drammaticità della sua situazione, ha dei privilegi che i cittadini iraniani non hanno.

Anche l’Alta rappresentante per la politica estera Ue, Kaja Kallas, ha lanciato il suo messaggio: “Chiedo l’immediata liberazione della reporter italiana Cecilia Sala, arrestata in Iran. Nessuno dovrebbe essere trattenuto per aver fatto il proprio lavoro, il giornalismo non è un reato. Ogni giornalista deve avere la libertà di fare reportage senza paura di essere arrestato o perseguitato. Mentre il mondo affronta la crisi, il ruolo del giornalismo è più essenziale che mai”. 

Parole più che mai condivisibili. Peccato che non siano reali. Sono anni che i dati del Word press freedom index, l’indice per la libertà di stampa redatto da Reporter Sans Frontieres,  rilevano che i giornalisti di tutto il mondo sono sempre meno liberi. Non solo, l’Iran è al 176esimo posto in questa classifica e nel documento viene specificato che “l’Iran ha rafforzato la sua posizione di uno dei paesi più repressivi al mondo in termini di libertà di stampa da quando è iniziata un’enorme ondata di proteste in reazione alla morte, il 16 settembre 2022, di Mahsa Amini, una studentessa arrestata perché vestita in modo inappropriato”.

Nel 2024 sono stati 181 i giornalisti rinviati a giudizio nel paese degli Ayatollah. Dall’inizio del 2024 i Tribunali della Rivoluzione hanno inflitto 31 anni e 6 mesi di carcere ai giornalisti, oltre a multe salate, periodi di divieto di accesso ai media sociali e divieto di esercitare la professione, oltre a anni di confino e divieto di lasciare il paese. Nello stesso periodo i direttori responsabili di 61 organi di stampa o notiziari online sono stati convocati dai giudici e in molti casi hanno dovuto sospendere le pubblicazioni da 1 a 22 giorni. Per non parlare di tutti coloro che sono dovuti scappare, abbandonando la propria casa per poter sopravvivere.

Un giornalista lo sa. E una giornalista donna lo sa ancora di più, perché corre molti più pericoli dei propri colleghi uomini. Soprattutto nei Paesi dove vige la Sharia.

Quindi, se da una parte è decisamente benvenuto qualsiasi tipo di intervento per la tutela di Cecilia, in una Paese dove le violazioni dei diritti umani basilari sono fin troppe e all’ordine del giorno, dall’altra nell’aria rimane una domanda: ma i cittadini e le cittadine iraniane, tra cui giornaliste e giornalisti, hanno forse meno diritti rispetto a noi occidentali?

Viene in mente il noto pastore tedesco Martin Niemöller, che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale parlò della sua iniziale complicità con il nazismo e di come alla fine avesse cambiato idea. Le sue potenti parole su colpevolezza e responsabilità, spesso modificate a seconda del contesto, rimangono un monito contro uno dei pericoli più grandi al giorno d’oggi: l’apatia politica. Che si trasforma in ipocrisia dilagante.  

Cara Cecilia, in questo momento di buio e difficoltà, non smettere di ritenerti fortunata. Perché, ora che sono venuti a prendere te, ci sono ancora persone che protestano per te e si battono per i tuoi diritti fondamentali. E sono in pochi ad avere questo privilegio.

Aggiornato il 03 gennaio 2025 alle ore 17:34