Veronese, 71 anni, padre Lucio Boldrin è attualmente il cappellano del carcere romano di Rebibbia. È qui che, il giorno di Natale, Papa Francesco ha aperto la seconda Porta santa dopo quella di San Pietro.
Padre Boldrin quanto è stato importante il gesto di Papa Francesco?
È difficile esprimere la grandezza di questo gesto, unico nella storia per un’apertura della Porta santa. La prima venne aperta da Papa Martino V nella basilica romana di San Giovanni in Laterano nel 1425, seguendo un desiderio che era nel popolo per una riconciliazione con Dio e seguendo un passo del Vangelodi Giovanni dove Cristo si presenta come la Porta da attraversare per ottenere la salvezza: “Io sono la porta. Se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. Quindi il primo segno è stato che la misericordia e il perdono da parte di tutti è per tutti. Nessuno escluso. Neppure per i detenuti segnati dai reati più gravi, che se chiederanno perdono e si convertiranno. E’ stato come dire a tutti i detenuti del mondo: ricordatevi che se per gli uomini siete gli ultimi, non lo siete nel cuore di Dio e per la Chiesa. Mi auguro che ciò venga compreso anche in quegli Stati dove vige ancora la pena di morte, la tortura, la mancanza del rispetto umano e dei diritti umani.
Cosa ha significato quell’apertura per chi è rinchiuso a Rebibbia?
Il significato è enorme: significa aprire alla speranza le menti e tanti cuori dei detenuti che vivono nel buio della tristezza e dove la speranza di avere un domani si è spenta sotto il peso di una condanna lunghissima, a chi vive nel buio del reato commesso e non sa perdonarsi, nelle persone innocenti che sono in carcere e i tanti che si trovano dentro ancora in attesa di giudizio o di una condanna definitiva. Al di là del fatto che uno, secondo la Costituzione, non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Quindi con la presunzione di innocenza ciò che prevede, in base alla gravità del reato, un’alternativa al carcere che potrebbero essere anche gli arresti domiciliari fino alla sentenza definitiva. Papa Francesco nell’aprire la porta si è voluto alzare in piedi per entrare. Lasciando la carrozzina per pochissimi passi, che non ha fatto neppure a San Pietro, dicendo a tutti: alzatevi! Non rimanete chiusi nel buio delle vostre vite e nel peso del passato. Rispetto per tutti, anche per le vittime. Basta odio, violenza e ingiustizie.
Le condizioni del regime detentivo nazionale è da (troppi) anni al centro dell’attenzione politica ma senza poi grandi cambiamenti: celle invivibili e sovraffollate, molti istituti penitenziari ormai vecchi e sull’orlo del collasso. Il numero degli agenti penitenziari ben al di sotto delle necessità. Secondo lei, da dove bisogna partire per sistemare la quotidianità nelle carceri?
I problemi sono giù indicati nella domanda. Oltre l’inadeguatezza di tante carceri obsolete e mancanti di quanto è richiesta per una detenzione rispettosa delle persone e sicure, la carenza cronica di agenti di polizia penitenziaria, il sovraffollamento, ricordiamo i numeri nelle carceri italiane: 89 suicidi, 1250 (salvati grazie all’intervento degli agenti) tentativi di suicidi, 10 suicidi tra la polizia penitenzia, 150 detenuti morti per malattia o mancanza di cure adeguate, 30 per cento di detenuti tossicodipendenti e circa un 25 per cento di malati psichiatrici, dove il carcere non serve nulla e queste persone dovrebbero essere ospitate in strutture adeguate. Il carcere li peggiora e usciranno peggio di come sono entrati. Senza dire dei clochard e della crescente presenza di stranieri e di tanti, troppi giovani. Sono dati che si riferiscono al 2024. Il cambiamento dovrebbe iniziare con l’applicazione della legge 103 del 2017 che prevede, in ogni caso, la sospensione dell’ordine di esecuzione per chi ha una condanna sotto i 4 anni. Nelle carceri italiane sono 10mila i detenuti che ne potrebbero beneficiare. Vi è anche la possibilità, per reati nongravi, sempre secondo la legge che non si vada in carcere sopra i 70 anni di età. Ma da quello che vedo, questo viene applicato solo per personaggi importanti, facoltosi o con degli ottimiavvocati. Ho visto portare in carcere persone anche sopra gli 80 anni e con una salute precaria. Per dirla con Papa Francesco: “Non perdete la speranza, qui solo pesci piccoli”. Le altre strade da percorre sono l’incentivare lo studio e la possibilità di lavoro e lo sport. Vincere l’ozio e lunga attesa nella quale molti detenuti vivono chiusi nelle loro celle, sdraiati nelle brande e avvolti solo da pensieri negativi e a fumarsi delle canne. Purtroppo un’altra piaga nelle carceri è la presenza dello spaccio, anche se con prezzi più elevati, rispetto all’esterno e crea danni sempre maggiori. Un ultimo elemento importante è incrementare, attraverso i colloqui o l’aumento di telefonate i rapporti affettivi con i propri familiari. Questi possono salvare una vita.
Si parla, come spesso è accaduto nel passato, di concessione di amnistia e indulto. Che ne pensa?
Con l’attuale Governo non penso che verranno concessi. Non so dare una risposta. Ritengo, come ho già detto, che basterebbe applicare le leggi già esistenti, anche se mi auguro che come segno di questo Anno santo venga concessa la liberazione a tutti quei detenuti che hanno una condanna o un residuo di pena sotto i 3 anni.
Posso chiederle se nel corso della sua esperienza personale a Rebibbia c’è stato un momento o episodio del quale serba ancora un ricordo particolare?
Gli episodi che serbo nel cuore sono molti. Dalle lacrime sincere di pentimento di chi si rende conto degli errori fatti o quando “i miei ragazzacci” (cosi preferisco chiamare i detenuti) più giovani mi chiamano per sbaglio “papà”, e compendo il perché, a dei ragazzacci accompagnati a casa come uomini liberi, che vengono riabbracciati dai loro familiari con le lacrime e dove rivedo i loro occhi riaccendersi con una luce nuova con la speranza di un nuovo domani e di essere stati lasciati soli.
Aggiornato il 02 gennaio 2025 alle ore 17:36