C’erano una volta le categorie storico-filosofiche di “destra” e di “sinistra”, oggi letteralmente fratturate al loro interno da un’immensa faglia ideologica, globale e trasversale, che ha creato con i suoi terremoti due nuovi continenti di contrapposizione politica anti-ideologica: i “pro” e gli “anti” occidentalisti. Pertanto, commette un peccato mortale di visione strategica e di disinformazione chiunque si illuda che il Cristianesimo e la sua riscoperta possano rappresentare il vero fattore unificante all’interno dell’Occidente. E questo accade per due buoni motivi. In primo luogo, la scristianizzazione, di fatto irreversibile e travolgente, della fede religiosa all’interno di una civiltà come quella occidentale che ha posto in primo piano, per dominare il resto del mondo, la ragione dei lumi e la tecnologia. Queste ultime, a loro volta hanno innalzato il denaro e la finanza al di sopra di ogni legge di Dio, promuovendole a massime divinità indiscusse e supreme dell’Occidente, mimetizzate dietro la facciata del Diritto.
In secondo luogo, la fine del “dirittismo” (Stato di diritto, diritto internazionale, diritti umani e delle minoranze, che hanno bisogno della forza per farli rispettare), perché rimesso in discussione da circa i quattro quinti del mondo, come metodo di regolazione delle controversie e dei conflitti internazionali. Ora, dopo che il multilateralismo della Pax americana e l’Onu (oggi nettamente terzomondista e antioccidentale) hanno rappresentato per quasi 80 anni i riferimenti internazionali del dominio della cultura occidentale, ci si domanda quale nuova forma di deterrenza potrà evitare una catastrofe nucleare. La risposta sta tutta nell’individuazione del comune tallone d’Achille del Global south e del Global north.
Per farlo, occorre partire da lontano e chiedersi se esista attualmente un valido surrogato alla deterrenza nucleare, senza ricorrere all’uso delle armi. E il segreto sta proprio nell’Intelligenza artificiale (Ia), ovvero nell’impero globale digitale, universale e incontrastato, di Sua Maestà l’algoritmo. Oggi anche la Nazione più potente può essere messa in ginocchio da una cyberwar generalizzata, la più performante in assoluto delle guerre ibride, attuata disconnettendo con attacchi hacker tutte le sue infrastrutture sensibili, quali: database strategici, reti di trasporto ferroviarie e aeree, gasdotti e oleodotti, dorsali telematiche di comunicazione via cavo e via satellite, compreso il funzionamento dei cellulari, infrastrutture nazionali di distribuzione idrica, elettrica e del nucleare civile, e così via.
Ora, questa guerra degli algoritmi può divenire, come certamente sarà, una forma di conflitto permanente, senza né vinti né vincitori, perché nessuno mai potrà avere in mano il punto decisivo. La regola relativa coincide infatti con un vero e proprio poker geostrategico, per cui nessuna potenza mondiale può essere certa di una combinazione di carte sicuramente vincente: principio, quest’ultimo, che può benissimo sostituire come forma di deterrenza le armi nucleari. Del resto, è bene che anche noi ci si renda conto che, con le nostre scoperte e la dittatura della technè, abbiamo messo il genere umano dinnanzi alla più grande delle tragedie: il progressivo livellamento e dissolvimento delle civiltà, delle identità e delle tradizioni nazionali, paragonabile come catastrofe alla scomparsa delle specie animali sulla terra.
Di fatto, Sua. Maestà l’Algoritmo è divenuto il grande Mangiafuoco (più Adolf Hitler e Iosif Stalin ibridati che Ghandi) del presente e del futuro dell’umanità! La realtà, infatti, ci dice che oggi esiste l’imperialismo omologante e senza rivali degli algoritmi, e che il mercato “è” l’algoritmo stesso. Cerchiamo di rendercene conto, perché si tratta di un immenso potere politico faceless, senza volto. E finché non troveremo il modo di smascherare ogni forma di deep-fake, l’umanità presente e quella futura dovrà subire il dominio incontrastato della menzogna, della disinformazione di massa, della verità virtuale, dove non contano più i fatti, ma le apparenze alle quali si crede. Esempi attuali li abbiamo visti materializzarsi nella guerra ucraina, dove l’algoritmo ha consentito di mandare in giro immagini di stragi o di obiettivi colpiti che in realtà non esistono.
Davvero incredibile come il digitale, che rappresenta in sé la libertà assoluta (tutto il mondo in un minuscolo riquadro di silicio), sia divenuto la condanna a morte dell’umanità intera, costretta ad assistere alla distruzione delle componenti più vitali della nostra specie. Tra le sue più illustri vittime si citano: le capacità inter-relazionali, la dialettica costruttiva e il confronto non demagogico, nonché la sessualità, annegata da decine di milioni di clip porno, in cui i mega organi genitali e la depravazione sono l’unica rappresentazione meccanica del piacere. L’ignoranza e l’analfabetismo funzionale di massa, poi, non rappresentano che uno dei drammatici risvolti di questa macina digitale globale.
La conseguenza drammatica di tutto ciò è la morte delle grandi categorie del pensiero politico: la destra; la sinistra, il marxismo; il proletariato; la classe operaia e il conflitto di classe; l’equa ripartizione delle risorse, delle opportunità; la parità tra cittadini. Questi ultimi enti di pensiero non hanno ormai più “mercato”, poiché vige l’auto riferimento all’io assoluto, in cui l’individuo, il suo ego di consumatore di beni e di emozioni primordiali, è al centro dell’attenzione politico-mediatica e capitalistica. Tutta l’informazione socio-politica è infatti autoprodotta attraverso i social, esposta in pubblico all’interno di sette digitali, originando miliardi di chat e di like, equivalenti a forme di consenso talmente labili e volubili, che milioni di persone votano virtualmente ogni giorno il loro gradimento ai politici e agli influencer del momento.
Allo stato dei fatti, cioè, non è più possibile fissare un azimut, un punto fermo politicamente comune e condiviso in questo magma dell’opinionismo di massa, caotico e senza freni, in cui si sovrappongono dinamicamente e si scambiano di ruolo tra di loro gli hater e i lover. Ma questo significa anche l’avverarsi nei fatti di un’altra alternativa antropologia politica, in cui non ha alcun senso la militanza in formazioni partitiche, né tanto meno la capacità di mobilitazione che non scaturisca dalle viscere stesse del web, dove però, per definizione, tutto è transeunte, modaiolo e precario. Morte quindi le stelle fisse di destra e sinistra. In cambio di che cosa abbiamo fatto tutto ciò? Perché si è consegnato un potere immenso, immanente e senza volto, ai signori e padroni degli algoritmi?
Allora, in tutto questo bel disastro, facciamo in modo che almeno il Dio algoritmo si renda utile per impedire alla Terra di saltare in aria!
Aggiornato il 20 dicembre 2024 alle ore 10:07