Roma nemica del “partito dei giudici”

Lo stato italiano spende una media di 81mila euro al giorno in risarcimenti per “malagiustizia”. Ma, se un giornalista usasse il termine “malagiustizia” nelle aule dei tribunali, correrebbe il rischio di finire a processo per calunnia dell’ordinamento giudiziario.

L’ultimo concorso in magistratura ha fatto emergere che più del settanta per cento dei concorrenti si dimostrava privo di basi umanistiche, o quanto meno non aveva fatto propri i cardini filosofici della cultura classica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: troppe toghe e poca giustizia, soprattutto decidono le correnti chi sono coloro che entreranno in magistratura.

Questo fenomeno di degrado giudiziario avvolge l’intero Occidente in una sorta di cappa oscura difficilmente garantista e mai perdonista. L’imprenditore e politico Elon Musk ha nell’ultimo mese espresso perplessità su tutto il sistema giudiziario occidentale, sia degli Usa che italiano: ma la sinistra giornalistica e politica ha ritenuto le polemiche del “multimiliardario delle tecnologie” fossero meramente un aiutino alle riforme del governo Meloni. Di fatto Elon Musk ha voluto testimoniare come il sistema giudiziario si sia trasformato nel ventriloquo del Partito Democratico occidentale e dei suoi sponsor multinazionali: l’amministrazione Trump cercherà di porre soluzione a questo problema? Certo negli Usa è facile cambiare i vertici dell’amministrazione giudiziaria, cosa ben più ardua è farlo in Italia.

Intanto in Occidente la gente, i popoli, denunciano stanchezza e conflitto contro il potere consolidato dei gruppi assicurativi, bancari e multinazionali: a dirlo alla Cnn è stato Thomas Dickey, avvocato di Luigi Mangione (accusato di aver ucciso il Ceo di una multinazionale assicurativa), che ha spiegato come il suo ufficio abbia ricevuto offerte per contribuire al pagamento delle spese legali del ragazzo. Le offerte sono indizio di un malessere tra popolo e potere, tra sudditi e potenti della Terra, soprattutto del favore popolare raccolto da Mangione tra la classe media americana.

Riflessi di conflittualità che vediamo anche in Italia tra classe dirigente e popolo, tra magistratura e cittadini. Ovviamente l’acme è stata toccata in Italia quando il Partito Democratico di Elly Schlein ha boicottato l’istituzione delle Giornata delle vittime della giustizia in ossequio all’Associazione nazionale magistrati: quasi a riconoscere intangibilità e sacralità della toga, facendola assurgere a braccio secolare dell’olimpo laicista multinazionale (lo vediamo anche con la magistratura che chiede ad Ue ed organismi internazionali vari di punire l’Italia).

Lo storiografo Gaio Svetonio imputava le crepe nell’Impero romano alle fasi di conflittualità tra cittadini e magistrati: problematiche create a suo dire (ed era uomo di rari commenti) dai tentennamenti dell’imperatore di turno. Certamente la fase maggiormente critica si rivelava per Roma quella scandita dai quattro imperatori, cambiati nel giro di quell’anno di turbolenta successione a Nerone. Le ingiustizie nelle parti più remote dell’Impero erano certamente state implementate dall’instabilità di Roma, questo permetteva alla magistratura d’invadere ogni competenza politica ed amministrativa.

Così Svetonio nel suo Le vite dei Cesari ricordava come ai tempi di Giulio Cesare fosse stato completato il Senato, più romani fossero assurti al rango patrizio, aumentati il numero di pretori e magistrati minori per una giustizia giusta in tutta la romanità, soprattutto riabilitati i cittadini privati rovinati dalle ingiustizie e, grazie all’intervento censorio, condannati per brogli i giudici che avevano male amministrato le deleghe di Roma. Cesare fece tutto questo per scongiurare sommosse popolari, per dare una sorta di pace in tutto l’Impero. Quindi, la Roma ben amministrata dai Cesari concedeva amnistie, ed obbligava che i debitori si accordassero con i creditori perché il debito si riducesse a circa un quarto, garantendo che le famiglie non andassero in rovina. Certo le ingiustizie di censo non cessavano del tutto: Cicerone raccontava che i più ricchi facilmente si rendevano colpevoli di grandi delitti, ed andavano in esilio senza che il loro patrimonio venisse intaccato, la nostra mente corre agli attuali esempi offerti dalle grandi famiglie italiane (non ultimi gli Elkann Agnelli). Resta il fatto che il Divo Giulio Cesare rimuoveva personalmente dall’ordine dei senatori i magistrati riconosciuti colpevoli di brogli, concussioni e corruzioni.

Probabilmente Svetonio, che aveva frequenti rapporti col visionario Plinio il Giovane, aveva percepito prima di altri che Roma per continuare a prosperare non doveva perdere la bussola della buona giustizia. Ma, nonostante i consigli di Svetonio, una parte del periodo di Tiberio e soprattutto dei quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano) si rivelavano tempi di vuoto politico e corruzione nei tribunali: i magistrati in cambio di denaro decidevano a chi assegnare la vittoria della causa, non curanti dell’innocenza o della colpevolezza dell’imputato; accanto ai giudici, estratti a sorte tra i cittadini, anche i funzionari pubblici ed amministrativi si lasciavano corrompere per incidere negativamente sulla vita pubblica.

C’era anche chi, come Cicerone, elogiava la buona corruzione ed i brogli elettorali di cui era accusato Catone, sostenendo che erano opere che si facevano per il bene della piccola gente per salvaguardarla dallo strapotere dell’ordine senatorio. Autore favorevole alla “buona corruzione” era anche Tacito, ma gli si contrapponevano sia Plauto che Sallustio Crispo affermando che comunque i poveri erano costretti “a vendere la propria libertà insieme con il principio di stato… chi si dimostrava padrone comandava tutte le genti, procurando a se stesso servitù personale in spregio della giustizia”.

A conti fatti sia nell’epoca repubblicana che nell’età imperiale, la corruttela aveva vita facile e divideva gli intellettuali in favorevoli e contrari: non c’era il politicamente corretto di oggi, c’era più libertà di parola, e dirsi a favore o nemici della corruzione non comportava gli odierni linciaggi mediatici.

Certamente a Roma non c’era lo strapotere del “partito dei giudici” e nessuna difficoltà incontrava Lucio Calpurnio Pisone a far approvare nel 149 a.C. la Lex Calpurnia, che sanzionava i “crimen repetundàrum”, cioè estorsione, corruzione e captazione di doni da parte dei magistrati che sottraevano giustizia alla comunità. Facile fu anche il cammino della Iulia repetundarum, che puniva i giochi di favore politico in cambio di provvedimenti giudiziari e amministrativi.

La realtà italiana odierna è certamente più ingarbugliata, la magistratura da circa trentacinque anni ha preso il sopravvento sulla politica (e non solo in Italia), e forse l’ultimo vero senatore romano s’è dimostrato il presidente Francesco Cossiga, che dichiarava il Csm eversivo mandando i Carabinieri in assetto antisommossa a tentare l’arresto dei giudici che volevano subordinare la politica.

Da quel giorno solo tentativi di mediazione, ed un lento scivolare di ogni angolo di potere italiano nella gelida amministrazione giudiziaria. E poi qualcuno giustamente suggerisce che ogni giorno dovremmo ricordare le vittime della giustizia.

Aggiornato il 19 dicembre 2024 alle ore 13:14