Javier Milei non pronuncia cose nuove. E in fondo nemmeno vecchie. In realtà, quelle del presidente argentino, sono parole contemporanee come forme d’arte, in quanto rimandano a inclinazioni e necessità dell’umano sempre valide poiché ontologicamente attuali. È vero, in gergo accademico spesso si parla della libertà dei moderni per contrapporla a quella degli antichi ma, al di sopra delle specificità connesse alle scienze politiche, l’essenza del contendere è quella, e lo è sin dal primo vagito, tanto che per comprenderlo non serve nemmeno praticare il giusnaturalismo, basta non avere in eccessiva uggia il buon senso. Il liberale, sosteneva Antonio Martino, è a suo modo un situazionista dato che deve farsi reazionario, conservatore e radicale a seconda se le libertà da tutelare sono ormai perse, oppure esistenti ma assai fragili o ancora lungi dall’esistere.
E però, al netto del tempo e del suo fluire, rimane fermo questo concetto, che poi è una vocazione all’infinito di ogni singolo individuo. Perché la libertà diviene metodo e fine allo stesso modo. A pensarci bene, esistono movimenti pacifisti e molteplici cortei della pace, che non sono altro che una prassi stucchevole di ipocrisia politica, e nulla si conosce di movimenti (davvero) libertari o di benemeriti costruttori di libertà. Ovvero di un qualcosa e (anche più) di un qualcuno che prende forma e vita oltre la classica modalità partitica. Qui in Italia, probabilmente, l’ultima espressione di un sussulto spontaneo d’indipendenza comunitaria, organizzata fuori dalle classiche e strutturate organizzazioni sociali, è stata la famosa marcia torinese dei 40mila nei primi anni Ottanta. Dopodiché non mi sovviene null’altro. Eppure, e Milei questo lo sa benissimo, è da quel conato d’indipendenza, connaturato con il fiato e la carne della persona, che scaturisce l’epifania di una visione nella quale la salvaguardia dell’io e della sua sfera d’azione – per riprendere un’immagine di Antonio Rosmini – sono elementi imprescindibili la cui eventuale assenza diviene esiziale per ogni tentativo escatologico di rintracciare quale futuro si cela dietro la siepe leopardiana.
Le libertà sono tutte solidali tra loro, asseriva uno che liberale non lo era affatto, e capita che per tenere vivido quel collante che tiene unite le plurime sensibilità dell’individualismo metodologico serva abdicare il gradualismo per portare avanti un’azione immediata, incisiva e penetrante. Tutto si fa per la libertà. Anche perché questa, mai dimenticarlo, come ricordava Don Chisciotte al suo fido scudiero Sancho Panza, è “uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita”. E quindi Viva la libertad, carajo!
Aggiornato il 16 dicembre 2024 alle ore 10:07