Un Paese civile che irrobustisce le libertà economiche nel mercato, e simmetricamente l’accessibilità al mercato, è un Paese che può concretizzare davvero i diritti socioeconomici delle persone. Solo un Paese di questo tipo, nel XXI secolo, può davvero definirsi libero. L’Italia, ancora, non lo è.
Una Repubblica democratica fondata sul lavoro libero, liberato dai lacci di burocrazie e assistenzialismi nonché dalle decrescite infelici, è una Repubblica che nel settore dell’antitrust si dota di un’autorità amministrativa indipendente articolata adeguatamente, mediaticamente interattiva, con esponenti culturalmente coinvolti, invitati presso scuole e think tank. Al pari dei magistrati. Ma ancora non è così. Tanto si deve fare.
L’Italia ha un’ottima autorità antitrust, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ma a questa istituzione dovremmo attribuire maggiori strumenti, al passo con le sempre più cavillari complessità dei mercati, al passo con le eterogenee esigenze di garanzia d’equità nella concorrenza, sui diversi territori. Dall’ultima relazione annuale pubblicata a cura dell’Agcm risulta che nel 2023, per le istruttorie concluse con accertamento d’illeciti anticoncorrenziali ai sensi di legge, sono state irrogate complessivamente sanzioni amministrative pecuniarie ammontanti a poco meno di 28 milioni di euro. Più precisamente, si registra un totale di 27.927.942 euro, di cui 12.777.147 euro conseguono all’irrogazione di sanzioni per le intese restrittive della concorrenza, 15.117.795 euro derivano dalle sanzioni per l’abuso di posizione dominante e 33mila euro da quelle per l’omissione d’informazioni dovute.
Chi viola la leale concorrenza sul mercato, infatti, deve essere sanzionato secondo lo Stato di diritto e con tutte le opportune garanzie, poiché altera le opportunità degli altri soggetti economici impresari e, a cascata, la stabilità dei soggetti che per quelli lavorano come dipendenti o come liberi professionisti. Nei nuovi avvii procedimentali del 2023 per presunte intese restrittive e per abuso di posizione dominante, il settore dell’energia è quello che ha più impegnato l’Autorità antitrust italiana. In questi tempi d’avvio di sfide sulle transizioni energetico-digitali, la cosa non sorprende affatto.
Il perimetro d’azione dell’Agcm è stato ritoccato di recente, ma il motore di una Ferrari non è adeguato alla carrozzeria di una Panda, seppur nuova e brillante. Il decreto legge n. 104/2023 (c.d. Decreto Asset), convertito con legge n. 136/2023, modificando lo strumento delle indagini conoscitive prevede che se all’esito di un’indagine l’Agcm riscontra problemi concorrenziali in un dato mercato con conseguente pregiudizio per i consumatori, l’Autorità medesima può “imporre alle imprese interessate, nel rispetto dei principi dell’ordinamento dell’Unione europea e previa consultazione del mercato, ogni misura strutturale o comportamentale necessaria e proporzionata, al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza”.
È possibile fare due precisazioni critiche e propositive.
La prima: se da un lato i poteri appaiono ampliati, dall’altro lato essi risultano atipici, e in settori molto tecnici come quelli industriali l’atipicità rischia di sconfinare in un generico lassismo anticamera d’impunità, oppure in un arbitrio interpretativo con divaricazioni applicative irragionevoli e con problemi di disparità di trattamento o di lesione del diritto di difesa per i soggetti coinvolti.
La seconda: l’organigramma e la ripartizione in dipartimenti dell’attuale Agcm risultano oggettivamente scarni di fronte ai tanti e differenti settori industriali, nonché rispetto ai diversi territori dove la concorrenza potrebbe essere alterata o falsata.
Occorrerebbe perciò dotare l’Autorità antitrust di procure e diramazioni distrettuali, per esempio sul modello della Corte dei conti. Estendere i poteri accertativi, dissuasivi e sanzionatori dell’Authority in questione serve, sì. Ma nel momento in cui si ampliano i poteri occorre specificarli, per non vanificarli: gli ambiti applicativi devono infatti risultare certi e sottoposti ad una puntuale definizione legale. In tal senso occorrono riforme più razionali ed empiriche, che vadano propedeuticamente ad irrobustire gli organigrammi nonché il volto strutturale ovvero strumentale dell’Agcm. Quest’ultima, inoltre, deve riuscire a monitorare le nuove e fluide piste aziendali create con l’Intelligenza artificiale generativa.
Come italiani dovremmo sentir bollire nel nostro dna l’esigenza di una sana competitività economica sul piano europeo e internazionale. Come europei dovremmo sentirci ruggire dentro l’imprescindibilità di una competitività produttiva, sana ed equa, al passo con le sfide geopolitiche del nostro tempo post-globalista e policentrico. Sarebbe bene, nonché socialmente utile, avere una classe dirigente italeuropea che iniziasse a liberalizzare di più con leggi chiare e semplici, una classe dirigente che maturasse un programma politico con cui riformare le autorità nazionali antitrust, iniziando dalla nostra italiana, per valorizzarle al meglio.
Più Stato di diritto liberale antitrust, meno populismo.
Consci che – come direbbe Emma Bonino – “i diritti non sono mai per sempre o una volta per tutte”, dobbiamo difendere ogni giorno la certezza di quei diritti.
Il demolibertario – come a me piace definirmi e come mi piacerebbe fosse l’agenda politica globale – fa qualcosa di ancora più complesso, agendo su più fronti in modo sempre strategico e mai in modo ortodosso e radicale.
Anche i diritti liberali delle economie di libero mercato concorrenziale necessitano di nuovi sforzi di conservazione, sulle nuove creste delle ondate di statolatria o di cartelli anticoncorrenziali che di volta in volta ne minacciano l’equilibrio.
Bisogna quindi curare la salute della nostra economia sociale di libero mercato. Una volta la Bonino disse che occorrerebbe una Greta Thunberg del debito pubblico. Io invece dico che occorre un altro passo, che vada ancora più a monte della questione del debito pubblico, in modo libertario-popolare e mai populista-dirigista: serve un movimento dal basso, trasversale ai piani “alti” della governance, con il dichiarato fine sociale di liberazione ed espressione liberale dei capitali umani, immobiliari, monetari e più in generale mobiliari.
All’interno del mercato libero, la gestione equa della concorrenza sarà il compito delle politiche e delle istituzioni antitrust. Il diritto antitrust a tutela reale della concorrenza dal basso, insieme a robusti ascensori socioeconomici e insieme ad una sempre maggiore sussidiarietà orizzontale dei soggetti economici privati accanto o al posto di quelli pubblici, potranno rappresentare il nuovo versante dei diritti sociali nelle economie liberali.
Gli sprechi del populisticamente corretto degli scorsi tempi sono davanti agli occhi di tutti. È giunto al pettine quel nodo storico di fronte al quale non possiamo ritardare la missione liberalpopolare di rendere la libertà lavorativa d’impresa una libertà equa, con una concorrenza più giusta e più aperta.
Ancora non è così. Tanto si deve fare. Facciamolo.
Aggiornato il 13 dicembre 2024 alle ore 08:46