L’assassino dell’Occidente: la “French Theory”

Chi ha ucciso l’Occidente? Gli assassini sono due: uno pratico, che corrisponde alla vuota declamazione etica dei diritti umani universali e di quella giuridica del diritto internazionale, sostanzialmente inapplicabili quando a fronte dei grandi principi magniloquenti onusiani non c’è una potenza egemone che garantisca l’uso della propria forza per il loro rispetto.

Dall’altra, esiste un killer ideologico di auto-annientamento, ben più spietato e pericoloso del primo, che prende origine dagli ideologi della French Theory degli anni Sessanta, i cui frutti avvelenati contemporanei si chiamano wokeism, cancel culture, multiculturalismo e multilateralismo.

A tutto ciò, sta rispondendo ferocemente il multipolarismo delle medie-grandi potenze, che tende a spostare il baricentro geopolitico sul Global South e sui Brics. Un conglomerato ibrido, quest’ultimo (che però comprende circa i quattro quinti dell’umanità), destinato a divenire un impero di fatto alternativo all’Occidente, non appena i suoi membri avranno adottato un sistema internazionale di pagamenti che escluda il dollaro e una nuova Onu a loro immagine e somiglianza.

Ora, poiché (come accadde nel 1968) l’attacco autoimmunitario ai valori dell’Occidente viene dal suo interno, e precisamente dalle più prestigiose università americane ed europee, sarà bene osservare più da vicino questo fenomeno.

Gli studenti Pro-Pal e Pro-Hamas della Columbia University provengono per la maggior parte dalle facoltà umanistiche, essendo gli eredi diretti della French Theory che ha dato origine a tutti gli estremismi woke e della cancel culture, nella sua degenerazione filosofica massimalista, per cui è “fascista” tutto ciò che limita la facoltà di espressione, compreso l’obbligo logico-formale di non-contraddizione delle argomentazioni. Il che ricorda paradossalmente il “bispensiero”, principio assurdo contenuto nel saggio 1984 di George Orwell, il cui il Grande Fratello condanna e perseguita ogni tipo di pensiero che non sia quello suo, che però è cangiante in funzione delle necessità del momento, essendo volutamente a-strutturato, privo di certezze giuridiche e funzionale all’arbitrio del suo potere.

Viceversa, gli studenti della Columbia favorevoli a Israele appartengono quasi tutti alle così dette Facoltà Stem (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica). Ed è proprio questo incedere incontrastato del cancro della French Theory nei campus americani a creare il terreno fertile per la diffusione della gangrena antisemita. Sostanzialmente, la sua struttura a-strutturata (sic: si tratta di un ossimoro, in cui tutto e il contrario di tutto si sposano all’apice della loro imperfezione) si fonda sui seguenti punti, che sono descritti nei loro termini originali francesi.

Il “pantextualisme”, in primo luogo, per cui tutto è linguaggio e quindi l’intera società è configurabile come una vasta intelaiatura di segni, laddove il potere è il significato ultimo. Il reale in questo contesto non ha più importanza.

Il “pouvoirisme”, in cui il potere diviene costitutivo di tutte le relazioni sociali. Sulla base di questo concetto estremo, la nozione di potere si generalizza al punto che le stesse omissioni del linguaggio vengono interpretate alla stregua di esclusioni, ovvero, come vere e proprie forme di oppressione. Da quel punto in poi, il ruolo del ricercatore non è più quello della scoperta e della comprensione dei fenomeni e dei fatti sociali, ma di smascherare, sovvertire, destrutturare ogni cosa nel linguaggio.

Terzo elemento: la “supercritica”, che fa della conoscenza un atto morale, per cui l'ermeneutica è concepita unicamente come una misura della performance della contestazione e della resistenza.

Secondo la French Theory, strutture pervasive senza volto diventano esse stesse agenti dell’oppressione, fissi, invisibili, potenti e quasi ontologici, come “patriarcato”, “colonialismo”, “capitalismo” che si ritrovano dappertutto, a prescindere dai contesti storico-culturali. Ed è così, per esempio, che la storia dei neri americani viene assimilata a quella dei palestinesi, per cui Israele è descritto come uno stato coloniale, malgrado che nasca dopo la fine della colonizzazione. Questa visione paranoica, antistorica e manichea fa di Israele il male ultimo, afflitta e perciò ammalata di capitalismo, colonialismo, ecocidio e patriarcato. Persino la tolleranza di Israele nei confronti degli Lgbt è descritta come “pinkwashing”: cioè, come una procedura atta a mascherare la realtà di una attività pervasiva di dominio. E proprio l’alleanza contro natura tra rosso-verdi, islamisti e progressisti ha consentito al magma della decostruzione di dilagare. Da un lato, infatti, questo tipo di radicalismo ha accentuato la competizione tra minoranze, con i neri che si mostrano gelosi del privilegio sociologico (mobilità sociale) e memoriale (dove l’accento è posto sulla Shoah, piuttosto che sullo schiavismo) degli ebrei.

Alla base del wokeism è l’idea che il colonialismo, ovvero la mentalità coloniale, sopravviva agli stessi istituti della colonizzazione, secondo un punto di vista tanto evanescente quanto emozionante, che può essere utilizzato a piacere per descrivere dall’interno e in modo totalmente aberrante la società occidentale.

Postulare simili teorie infondate ed evanescenti offre ai loro autori una sorta di “conforto cognitivo”, consentendo a questi ultimi di organizzare il mondo (che si vuole immune dal caos della Storia) in base a una griglia di lettura semplicistica tra dominati e dominanti. L’8 ottobre (il giorno dopo il pogrom di Hamas) è stato il canto del cigno di questa illusione intellettuale e quindi l’inizio del suo declino. Si può solo sperare che l’amore di verità e lo studio della complessità ritornino quanto prima a far parte dei curricula delle grandi università occidentali. Ma chi mai smantellerà il bis pensiero per cui si smarginano i confini tra vero e falso (vedi 1984 di George Orwell), dilagante sui social?

Aggiornato il 04 dicembre 2024 alle ore 13:30