Parlare di opposizione responsabile, qui a Orvieto, equivale a pronunciare un ossimoro bello e buono dato che, invece di farcire le proprie scelte politiche con argomentazioni (possibilmente) di spessore la sinistra (e non solo) preferisce rifugiarsi nei bizantinismi procedurali andando così a praticare una tautologia di corto respiro per spalmare formalismi invece di affondare le mani nella sostanza delle cose. Provo a metterla in maniera più prosaica partendo da una parola che funge da epitome del tutto: rifiuti. E quindi smaltimento, e quindi chiusura del ciclo e quindi, per rimanere nel contesto locale, dico “Le Crete”, la discarica situata a poca distanza dalla Rupe. Tema particolarmente sensibile, come è facile intuire, a queste latitudini. Ebbene, durante l’ultima legislatura regionale la Giunta Tesei ha approvato il nuovo piano di gestione integrata dei rifiuti – a distanza di molti anni dall’ultima modifica effettuata – e questo, oltre a tutta una serie di elementi qualificanti, prevede l’adozione della termovalorizzazione come soluzione finale per rendere l’Umbria finalmente autosufficiente in tale ambito.
Si badi bene: quando il Prgr (acronimo per indicare il piano) si trovava in fase di elaborazione lo scenario che prevedeva la combustione dei rifiuti, con conseguente sfruttamento dell’energia termica per scopi di natura civile o industriale, non è stato stabilito a priori, tutt’altro: esso è divenuto il risultato finale scaturito dopo che un tavolo tecnico-scientifico (composto, tra l’altro, da professori universitari e tecnici di assoluto valore i cui nomi sono impressi in una delibera di giunta regionale) ha vagliato tutta una serie di opzioni che prevedevano finanche l’uso del combustibile solido secondario come l’utilizzo di impianti già esistenti nel territorio regionale. E allora, perché proprio la termovalorizzazione? Perché quest’ultima avrebbe permesso di raggiungere un sensibile miglioramento generale sia per quanto riguarda il tema della tutela ambientale, sia per quanto concerne la salvaguardia della salute umana e, infine, per quel che attiene la gestione economica dell’intero sistema.
D’altronde, quella della termovalorizzazione è la scelta maggiormente praticata da gran parte dei Paesi occidentali, perfino da coloro che storicamente hanno sempre dimostrato una spiccata sensibilità sulle materie “green” portando avanti simultaneamente la pratica del riuso e del riciclo con la combustione degli scarti. Va da sé che maggiori sono i rifiuti che vengono conferiti a un impianto di termovalorizzazione e minore sarà il materiale che dovrà essere riversato nelle discariche, e qui faccio scivolare il ragionamento su un piano puramente deduttivo. Ora, checché ne pensino gli ayatollah dell’ecologismo d’accatto, le discariche, per quanto ben gestite e dotate di sistemi tecnologicamente avanzati, rimangono, in termini di inquinamento, delle bombe a cielo aperto, se non altro per tutte le implicazioni connesse al trattamento del percolato. A tutto ciò, qui in Umbria, si deve aggiungere che la situazione è resa ancor più drammatica dal fatto che i siti dove sono ubicate le discariche sono prossimi all’esaurimento. In alcuni casi, per la verità, la chiusura degli impianti è già stata avviata se non proprio conclusa.
Ergo, al fine di gestire la contingenza ottenendo un minimo di autosufficienza nella gestione dei rifiuti, è stato ottimizzato lo sfruttamento della volumetria attualmente disponibile nelle discariche ancora funzionanti in modo da traghettare il sistema verso il nuovo sistema di smaltimento. Facile comprendere come persino, anzi: soprattutto, per “Le Crete”, nonché per la città di Orvieto, una soluzione siffatta sarebbe stata risolutiva di una serie di problematiche assai conosciute da coloro che vivono in questa fazzoletto d’Umbria. Poi, però, ecco il genio. L’Auri, ovverosia l’autorità competente in materia di rifiuti e di idrico, che ha avuto il compito di confezionare il bando di gara per la realizzazione del termovalorizzatore – dato che la Regione è un ente di programmazione – non solo tergiversa nel dare avvio alle procedure necessarie del caso ma propone in maniera discrezionale di rallentare il meccanismo – ormai avviato – senza per altro preoccuparsi di avvisare figure apicali della stessa, come il sindaco di Orvieto che ricopre, per l’appunto, il ruolo di vicepresidente dell’autorità.
Ovviamente la scelta perentoria da parte di Auri è dettata da motivazioni squisitamente politiche, se non proprio ideologiche, legate ad una visione distorta del bene comune. E così veniamo al Consiglio comunale, durante il quale il sindaco ha in sostanza chiesto una delega alla principale assise istituzionale cittadina per portare le proprie sacrosante istanze alla prossima riunione dell’Auri. Ed è precisamente tra i banchi della minoranza che è scattato un cortocircuito logico, tanto da mandare al macero non tanto i rifiuti quanto quel minimo di buon senso che dovrebbe essere patrimonio condiviso di coloro che aspirano a diventare dei bravi amministratori locali. L’opposizione invece di accogliere l’assist della maggioranza, o magari anche di rifiutarlo previa motivazione ben modellata, ha pensato bene(?) di uscire dall’aula.
La spiegazione, come già detto sopra, è consistita in un corollario di scuse banali camuffate però da un trionfo di tecnicalità fatte passare addirittura per una scelta di natura deontologica. In pratica, una presa di posizione afona: un fare per non dire. Un agire per non comunicare. Un fuggire per non tornare sui propri passi, sulle proprie posizioni e sulle proprie certezze ormai anacronistiche e consunte. È un approccio alla politica che esula dalla connessione con gli umori e il comune sentire dei cittadini ma somiglia tanto a quella obbedienza pronta, cieca e assoluta al “comando centrale” che Giovannino Guareschi prendeva in prestito per sbeffeggiare i trinariciuti di una volta. Una volta che, a quanto pare, si ripropone anche oggi.
Aggiornato il 02 dicembre 2024 alle ore 10:29