Il centro di accoglienza per migranti in Albania è stato chiuso. Il governo parla di ‘rimodulazione’. La solita abitudine retorica per nascondere la verità.
Il miliardo stanziato sarà ora all’attenzione della Corte dei conti. Non purtroppo dal Ministero del Merito che esiste, ma non tratta la materia.
Quando è stata intrapresa l’idea del ‘resort’ con le sbarre chi ha pensato alle procedure per il suo utilizzo? Quando ci ha pensato, l’esperto non ha considerato che nella nostra civiltà giuridica non è prevista la deportazione di chicchessia?
Quando occupammo la Libia per la prima volta, il Regno deportò migliaia di libici alle isole Tremiti. Sui numeri non c’è accordo. Però alcune migliaia di libici, forse decine di migliaia, furono prelevate dalla loro terra e trasportati direttamente nell’isola completamente spoglia di Capraia. I più fortunati, finirono nel carcere di San Nicola. Morirono quasi tutti, durante il trasporto o per fame, sete, malattie. Una tragedia. E un’infamia.
Sul piano giuridico questa operazione non è mai esistita. Nessun processo. Nessuna corte fu coinvolta. Le navi presero i libici considerati ‘ribelli’ e furono lasciati morire sul suolo italiano, ancorché senza servizi, senza acqua, senza soluzioni igieniche.
Nel corso del ventennio fascista, altre deportazioni. Poi ci furono i decreti di confino. Infine, la deportazione degli ebrei d’Italia e delle colonie. Anche in questo caso, nessuno è mai stato trasportato all’estero. Non ci sono mai state basi giuridiche per portare qualcuno fuori dall’Italia. Anche quando sono irrogati decreti di espulsione, si tratta di decreti che non sempre portano all’imbarco su aerei o navi, per carenza del luogo di destinazione certa.
Se volessimo andare a ritroso nella storia, nessun regno italico e tanto meno l’Impero Romano cercarono di realizzare un’impresa simile.
Al massimo, troviamo la consuetudine, ereditata dalla cultura greca, dell’espulsione dei propri cittadini fuori dalle mura: l’esilio.
L’esiliato non poteva rientrare nel limen urbano. Ma era lui che se ne andava, sulle proprie gambe. In caso contrario, sarebbe stato ucciso. Ma parliamo pure di epoche nelle quali il concetto di carcere praticamente non esisteva. Le prigioni sono un’invenzione successiva e, al principio, connessa con l’idea di esporre i colpevoli o i traditori alla pubblica gogna o alla punizione.
Con tali premesse, l’iniziativa del governo Meloni è apparsa immediatamente temeraria. Un passaggio ha sempre stupito: l’idea che i migranti approdassero in Italia, per poi trasportarli in Albania. Chiunque metta piede sul suolo italiano è soggetto al diritto nazionale e quindi anche comunitario. Praticamente impossibile costringere chicchessia fuori dai confini.
C’era un’idea diversa, un tempo. Era quella degli hot spot. Gli hot spot avrebbero dovuto essere campi di accoglienza all’esterno del nostro territorio dove valutare chi potesse entrare in Italia e chi no. Al contrario, diventarono il nome battesimale di centri di accoglienza sul territorio italiano. Gli hot spot all’estero avrebbero risolto la questione, probabilmente.
Ma nessuno ebbe il coraggio di organizzarli in terra libica. Si disse che i libici non avrebbero mai accettato nuovi insediamenti coloniali. Eppure, hanno accettato senza problemi una base turca e una base russa nuove di zecca, senza battere ciglio. Ergo: il timore ‘coloniale’ per gli hot spot era fasullo.
Il problema della riuscita della politica degli hot spot, invece, è che avrebbero consentito di stroncare almeno in parte i traffici umani, di armi, di droga che si sviluppano lungo le carovaniere africane. Ora, come allora, quelle carovaniere sono dominate dalle milizie Wagner. Non saranno lì in eterno, stante la pericolante realtà russa e gli agguati sempre più frequenti delle milizie africane contro i wagneriti. Però l’idea è che possa esserci un collegamento tra trafficanti di uomini e ideatori di soluzioni che non funzionano per la gestione dei respingimenti o delle accoglienze.
Dobbiamo sempre ricordare che ogni barcone ha un valore tra i duecentomila e il milione di euro per il solo trasporto, per i trafficanti. Ogni ospite dei centri di accoglienza consente di ricevere molto meno rispetto al passato, ma pur sempre trentacinque euro al giorno a persona. Fatturati più che sufficienti per alimentare una catena di corruzione e favoreggiamento, magari all’insegna di dichiarazioni retoriche di lotta al traffico infame. Per chiarezza: questa strategia non è certo nelle corde di Giorgia Meloni, ma altri sono sempre stati presenti in questo ‘mercato della vergogna’. Basterebbe seguire il denaro per capire chi possa essere interessato a tutelare il mercato dei corpi umani.
Sta di fatto che il fallimento dell’iniziativa albanese è l’ennesimo tassello del comune denominatore della fallimentare gestione delle migrazioni. Il centro albanese ha avuto un solo risultato: ancora tutti complici della tratta e un miliardo dei soldi nostri buttato.
Sarebbe stato meglio spendere questo miliardo a sostegno della libertà ucraina. Almeno, avremmo sostenuto chi combatte contro i russi, tra i principali responsabili dei traffici di bambini, donne e uomini nel mondo contemporaneo.
Per rendere utile l’insediamento albanese, invece, potremmo sempre organizzare delle colonie estive. Il governo potrebbe offrire una settimana in un comodo e rilassante resort per migranti a tutti i cittadini italiani. Per vedere l’effetto che fa.
Aggiornato il 29 novembre 2024 alle ore 11:58