Secondo gli adepti del culto anticarbonico, ormai, il consenso sull’origine antropica del riscaldamento globale (aggiornato, nel tempo, in cambiamento climatico) avrebbe raggiunto la soglia del 99,2 per cento. Come se la scienza, che non procede a maggioranza (vedi Galileo Galilei), avesse bisogno dell’unanimità per smettere di indagare il dubbio. Una percentuale che, da sé, ricorda i risultati elettorali dei Paesi satelliti dell’Unione sovietica: un consenso bulgaro insomma. Ma non parliamo dei membri dell’Ipcc, l’International panel on climate change, che dirige il coro delle prefiche ambientali, lanciando periodici allarmi e ineluttabili scadenze (invariabilmente decorse, senza l’attesa catastrofe planetaria), amplificati, quotidianamente, dai media unificati, per terrorizzare la popolazione ed indurla a più spartani stili di vita, con – perdonate il paradosso – diete entomofagiche, marciando a piedi con calzari di paglia e tuniche di tela di sacco.
In questo gruppo di studio intergovernativo, insediato presso l’Onu, nel quale non si entra neppure, se si ha qualche recondito dubbio sull’armageddon climatico prossimo venturo, o se ne deve uscire, in caso di, pur rispettoso, dissenso – come capitato a Michael Shellenberger, deposto eroe dell’ambiente quando ne faceva parte. Nell’Ipcc, composto da pochi fisici ma troppi sociologi, economisti ed ex politici (che per questo non fa ricerca ma coordina la peer review delle pubblicazioni scientifiche in materia), ovviamente, il consenso non può non essere unanime. Eppure leggiamo e ascoltiamo la voce dissenziente di tanti affermati scienziati – anche premi Nobel – che esprimono dubbi o graduazione sulle affermazioni totalizzanti della teoria antropica dei cambiamenti climatici. Questo, nonostante che il disallineamento dalla teoria dominante, comporti emarginazione e definanziamento di chi conservi il coraggio e l’onestà intellettuale di porre dubbi e interrogativi (come testimoniava il celebre scienziato dissenziente professor Franco Prodi) in un campo che è ancora largamente uncharted territory.
Queste voci fuori dal coro sono escluse dalle statistiche perché la rilevazione è realizzata contando le pubblicazioni sulle riviste scientifiche che riescono a superare lo scoglio della peer review da parte dei colleghi difensori della tesi antropica. I dissidenti, che riescono a superare il cavallo di Frisia della censura scientifica, magari cercando ospitalità su pubblicazioni minori o sulla stampa generica, sono irrisi o screditati (come capitato al fisico, premio Nobel, professor Carlo Rubbia o al professor Franco Battaglia) perché non hanno, nel proprio curriculum accademico, la mostrina di esperto dei cambiamenti climatici di origine antropica. È come pretendere che solo i credenti possano studiare, interpretare e opinare sui testi delle sacre scritture.
Ai poveri coraggiosi e tenaci scienziati dissidenti dell’ortodossia climatica – cancellati a furor di censura dalle statistiche – non resta che l’abiura, come Galileo Galilei. In attesa che il tempo, galantuomo, stabilisca la verità.
Aggiornato il 26 novembre 2024 alle ore 13:53