Regionali Umbria, analisi dopo il voto

Asseriva il buon John Keats che la vittoria ha moltissimi padri a differenza della sconfitta che, notoriamente, è orfana di entrambi i genitori. In realtà, quanto segue non è una ricerca analitica dei colpevoli – perché allora, per la mia parte, io sono tra questi, dato che ho fatto parte, e in maniera convinta, di un’avventura politica, professionale e umana con il mio carico di passione, dedizione ed errore – quindi, dicevo, niente caccia alle streghe, ma una serie di valutazioni. Facciamo un decalogo? Vada per il decalogo – sulla cui utilità non do di certo garanzie. Spero le abbia, certo, foss’anche in quantità omeopatiche. Allora iniziamo:

Punto 1 – Le giunte a guida Pci-Pds-Ds-Pd hanno governato la Regione Umbria ininterrottamente dal 1970 fino al 2019, quando il centrodestra vinse grazie soprattutto a due fattori, uno politico e uno di natura giudiziaria: la storica ascesa della Lega verso vette elettorali contraddistinte da percentuali bulgare – non replicate nemmeno dall’attuale Partito democratico – dovute a dinamiche extraregionali e l’emergere dello scandalo Sanitopoli che, al di là degli esiti processuali, di fatto appannò l’immagine della sinistra locale. Due condizioni irripetibili, cristallizzate all’interno di una ben precisa parentesi storica ormai lontana nel tempo.

Punto 2 – L’Umbria, quindi, è tornata a essere di sinistra. O forse non ha mai smesso di esserlo? Per decenni il “modus operandi” della sinistra umbra prevedeva il ricorso massiccio alla leva della spesa pubblica per creare benessere “diffuso” e garantire così anche la pace sociale. Il tutto si tradusse con una dilatazione abnorme del parastato al quale prese parte perfino l’industria pesante. Tale meccanismo venne garantito dall’intervento dello Stato centrale – si pensi solo al rimborso a piè di lista – che interveniva ad appianare i debiti degli Enti locali. Il sistema poi andò in crisi con l’introduzione dei vincoli di bilancio che imposero un forte controllo sui conti istituzionali. Ebbene, probabile che qualcuno, 5 anni fa, non comprendendo con chiarezza che una fase politica era ormai stata rottamata dalla storia, prima che dalle scienze economiche, votò con l’idea di avere la stessa metodologia operativa sostituendo coloro che ormai non erano più in grado di offrire talune prestazioni con i nuovi arrivati vestiti (prevalentemente) di verde.

Punto 3 – L’Umbria, quindi, per motivi di natura storica, culturale, politica e sociale è rimasta fortemente ancorata ad una visione progressista della società. La sistemica carenza di vie di comunicazione degne di questo nome, di un aeroporto che solamente negli ultimi anni è tornato a funzionare seriamente e di infrastrutture ferroviarie davvero importanti e funzionali è dato proprio dal sistema di sviluppo economico imposto nei decenni. Per dare spazio alla impiegatizzazione è stato volutamente tralasciato, ad esempio, il commercio. Chi commercia si muove, chi si muove necessita di strade ben realizzate. Qui invece la stasi generata dall’assistenzialismo ha prevalso sul dinamismo tipico di un sistema basato sul libero mercato. Invertire la rotta vuol dire cambiare il paradigma non tanto in termini economici ma culturali. E una legislatura non è sufficiente per modificare la “forma mentis” delle persone.

Punto 4 – Anche quando la sinistra sembrava in uno stato comatoso il cosiddetto “apparato”, ovvero la cinghia di trasmissione che collega il partito alle realtà più rappresentative della società locale non ha mai smesso di funzionare. Tutt’altro: quel sistema articolato e capillare di associazionismo, cooperative, sindacati, consorzi, comunità montane ed altro ha continuato ad alimentare il consenso mediante un lavorio ideologico e culturale costante capace di rendere il terreno della propaganda sempre fertile in attesa di futuri e più abbondanti raccolti ai suffragi universali.

Punto 5 – In questo 2024 ci siamo resi conto che in Umbria non esiste la sinistra come un unico blocco politico-culturale ma tante sinistre che, tuttavia, a dispetto delle differenti sensibilità, riescono a trovare sempre una quadra unitaria. In base ad una vecchia schematizzazione concettuale, possiamo rintracciare una sinistra marxista-massimalista rappresentata dall’attuale prima cittadina di Perugia, da una sinistra cattolico-dossettiana incarnata dalla neo Presidente della Regione e da una sinistra che, un tempo, si sarebbe definita azionista-gobettiana, sempre più intransigente in termini ideologici, la cui anima è portata avanti da non pochi rappresentanti del mondo grillino. Il “Patto Avanti” che ha trionfato in questa Regione è la “summa” di tre modi di essere progressisti. La misticanza porterà ad un aroma equilibrato? Difficile. Anche perché poi ci sono i famosi “moderati”.

Punto 6 – Eccoci arrivati ai “moderati”. Cosa voglia indicare il termine, più o meno, lo sappiamo. Sono i centristi, quelli che prediligono il gradualismo dei cambiamenti ai mutamenti rivoluzionari, la maggioranza silenziosa del Paese, coloro che amano praticare il “buon senso” kantiano, altresì conosciuto come senso del limite del quale tanto scrisse Roger Scruton, inoltre socialmente appellati come classe borghese. Ebbene, se fosse esaustiva una tale descrizione rimane il dilemma di come i moderati possano coagularsi con le istanze più massimaliste del centrosinistra. E qui entriamo in scena noi, noi come liberali di centrodestra che avremmo dovuto attrarre questo mondo di centro portato a guardare a sinistra. E perché non siamo riusciti? A volte per noncuranza, altre per incapacità comunicativa, siamo stati per l’appunto asemici nel descrivere quella cornice di senso che contraddistingue la nostra idea di mondo, quel senso che diamo al vivere e al morire, quella cultura che squarcia i veli al nostro domani e, in fin dei conti, il nostro stile di vita. Ebbene, esporre con lucidità il nostro corollario valoriale poteva indurre il centro del “centrosinistra” a guardare verso di noi con meno sufficienza e più interesse.

Punto 7 – Continuo con i moderati. A volte la tendenza è stata quella di vivere il moderatismo non in termini “contenutistici”, ma caratteriali e in maniera quasi parossistica, tanto da divenire timorosi nel dare un’impronta al nostro agire e spaventati nello scolpire il perché di talune scelte come, ad esempio, quelle riguardanti l’ambito sanitario. In termini tematici è stato questo il nostro Tallone d’Achille. Fateci caso: dalla sinistra non si è sentito alcun rilievo sul turismo, sulla partita debitoria delle comunità montane, del comparto di Monteluce e del trasporto pubblico locale; nulla sulla rigenerazione dell’aeroporto di Assisi, sulla grande questione dello sviluppo rurale, sulle filiere agro-alimentari o sull’aggiornamento di documenti strategici come il “piano qualità aria”. Si, d’accordo, del polverone si è alzato relativamente al piano dei rifiuti, ma sempre con giudizio visto che il tema divide il campo largo in tanti appezzamenti di prospettive divergenti sul futuro sostenibile del territorio. No, il centrosinistra è stato martellante sulla sanità tanto da realizzare presidi sotto i nosocomi regionali e scene sopra le righe (vedi il programma elettorale reso a brandelli). Ergo, avremmo dovuto anticipare le mosse e comunicare (comunicare!) in maniera assidua ben prima dell’inizio della campagna elettorale. Comunicare non vuol dire vendere fumo ma rendicontare periodicamente il lavoro svolto mettendo a nudo difficoltà, problemi e risultati raggiunti. La dico da finto dotto: c’è mancata l’infosfera a nostro favore.

Punto 8 – L’astensione, si sa, storicamente penalizza il centrodestra il cui elettorato tende ad essere meno inquadrato e “militante” rispetto a quello del campo avverso. Ma quali sono i motivi endogeni di questa fuga dalle urne? Molteplici. Al di là del fatto che in alcune realtà la campagna elettorale è stata poco più di un “flatus vocis” le ipotesi sono legate al rifiuto di alcune verso talune alleanze per le quali varrebbe la pena spendere una parafrasi ispirata da Winston Churchill. Certi accordi, dati i soggetti protagonisti dal comportamento istituzionale non proprio rispettabilissimo fatto di emissione di liquido orale e di densi dialoghi con l’Altissimo per interposto “social media”, non sono andati giù. A questo aggiungo un eccesso di titubanze relative alla leadership della coalizione. Alla fine l’accordo è stata trovato, epperò il messaggio che è passato è stato quello di un compromesso al ribasso piuttosto che quello di una scelta decisa, voluta e irrevocabile. Le persone non sono stupide e basta un sospiro nei palazzi per scatenare un malcontento nelle piazze e, soprattutto, nelle urne;

Punto 9 – La Giunta Tesei ha dovuto portare avanti non solo un’azione di governo amministrativo dalla pregevole fattura, ma si è dovuta sobbarcare una guida politica che il Consiglio regionale non è riuscito a sostenere. Con un’opposizione che, al netto di rari casi, non ha fatto altro che contrapporsi alle scelte incardinate dal Governo oltre a rivendicare più risorse per ogni settore, come se un auto ferma necessiti solo di benzina per ripartire, in realtà anche la maggioranza – anche qui: tranne le solite benevole eccezioni – spesso ha contribuito involontariamente (?) a rendere il cammino della Giunta decisamente periglioso.

Punto 10 – In pratica, parlando per metafore, qui in Umbria ha vinto San Francesco a discapito di suo padre, Pietro di Bernardone. O meglio: ha vinto la versione iconica e falsata del poverello di Assisi plasmata a piacimento dalla Sinistra. L’emblema di un fare politica ancorato ad un passato anacronistico fatto di ridistribuzione in mancanza di una strategia per produrre quello che si vuole condividere. E ha perso il padre di Francesco che era mercante e quindi sapeva commerciare, sapeva come fare per creare ricchezza e sapeva che la ricchezza e la povertà sono due malattie contagiose. Il buon samaritano era avo di Pietro, era colui che aiutava i poveri poiché egli era riuscito a sconfiggere l’indigenza. L’auspicio sta nella lungimiranza della nuova presidente a impregnare la nuova Giunta regionale con ampie dosi di riformismo, tagliando così le gambe a rigurgiti populisti ai quali anche il centrodestra, ahimè, ha ceduto non poche volte.

Aggiornato il 20 novembre 2024 alle ore 10:13