L’Ue chiede di cambiare il sistema pubblico della Rai

Il Partito democratico di Elly Schlein non c’era, ufficialmente, al confronto di due giorni organizzato dalla presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Barbara Floridia. Il Pd insiste in merito alle vicende Rai nella posizione chiamata Aventino, in ricordo dell’assenza storica dal Parlamento degli anni Venti. Il problema della televisione pubblica è giunto invece ad uno snodo essenziale dopo decenni di egemonia dei partiti e di lottizzazione alla quale il Pci ha partecipato “alla grande”. Oggi l’Europa sollecita una riforma della televisione di Stato che ne limiti l’ingerenza in vista dell’entrata in vigore nel 2025 del documento europeo Media freedom act, già ratificato dal Parlamento italiano.

I 27 Stati dell’Unione dovranno adeguarsi, pena una procedura d’infrazione delle regole comunitarie. Le questioni più rilevanti riguardano l’assetto societario dei gruppi radiotelevisivi, la nomina del loro management e il finanziamento complessivo, legato alle innovazioni tecnologiche. Non sarà facile buttare dietro le spalle anni di lotte ideologiche e partitiche per il controllo della massima struttura d’informazione e comunicazione d’Italia che ha celebrato i 100 anni di vita, con trasmissioni e dibattiti che ne hanno ricordato la lunga storia, contribuendo a passare dall’analfabetismo all’uso diffuso della lingua dei grandi padri.

I cambiamenti richiedono modifiche all’attuale assetto societario della Rai che vede il Ministero del Tesoro come azionista di maggioranza assoluta (oltre il 95 per cento) e la legge Renzi come paletto per la elezione dei vertici di viale Mazzini (presidente, amministratore delegato, Consiglio di amministrazione) con ben quattro membri su sette scelti dal Parlamento, due dal Tesoro e uno in rappresentanza dei dipendenti. Per decenni si è codificato che il pluralismo veniva garantito con Rai 1 di orientamento cattolico/democristiano, con al Rai 2 di espressione socialista/ laica e la Rai 3 al mondo comunista. A supporto del mantenimento dello status quo arrivavano il sindacato dei giornalisti (Usigrai, guidato per anni da Giuseppe Giulietti, Roberto Natale, Vittorio di Trapani) e l’Associazione dei dirigenti d’azienda (Adrai).

Un’impalcatura mai venuta meno nonostante le spallate dei missini (anche se le partecipazioni a Tribuna politica, elettorale o sindacale di Arturo Michelini, Giorgio Almirante e Giovanni Roberti portavano al direttore Rai Jader Jacobelli consensi e record d’ascolti). Solo in qualche circostanza (presidenza Letizia Moratti) è stato infranto il tabù che nessun direttore poteva essere scelto tra i professionisti di quello che a Saxa Rubra veniva definito “il mondo occidentale”. Fu anzi un evento clamoroso la nomina a consigliere di amministrazione di Arturo Diaconale, direttore di un quotidiano liberale. Il tempo è maturo per il cambiamento dell’assetto societario e per il sistema di governance? Le distanze tra i partiti restano notevoli. Nelle prossime settimane potrebbe arrivare un disgelo sulla nomina del Presidente Rai, che la maggioranza del Parlamento ha indicato in Simona Agnes, apprezzata esperta di comunicazioni. Il Movimento 5 stelle ha gradito l’apertura e l’attenzione rivolta alla sua esponente Barbara Floridia da parte di membri del governo di Giorgia Meloni. Modificare la legge Renzi del 2015 è un punto fermo per i pentastellati.

Bruxelles sollecita gli Stati membri a varare, in tempi brevi, leggi e regolamenti affinché i media radio-televisivi garantiscano maggiore pluralismo e indipendenza dagli esecutivi.

Aggiornato il 12 novembre 2024 alle ore 09:11