I leader sono importanti ma, in una democrazia, il loro destino è appeso alle preferenze degli elettori. Ciò che fanno dipende in buona misura dal modo in cui immaginano questi ultimi reagiranno. Il giorno delle elezioni, costoro fanno una scelta che ovviamente non traccia con precisione il percorso di un Governo negli anni successivi, ma indica una direzione. Il paragrafo che avete appena letto è di una banalità sconfortante, da terza lezione di educazione civica alle medie. Purtroppo queste cose banali sono state dimenticate da una classe di “opinion maker” e commentatori che cerca nell’isterismo la chiave del successo. L’elezione di Donald Trump può non farci piacere e magari persino preoccuparci. Ma è una elezione: Trump è stato scelto in modo netto dagli elettori americani. Lo hanno votato anche donne e latinos, che si sono espressi per il Partito democratico in misura sensibilmente inferiore rispetto al passato. A pochi giorni dal voto Usa, i giornali hanno già cominciato a parlare delle decisioni che Trump prenderà come se non rispondessero a preoccupazioni e bisogni degli elettori. Entrerà alla Casa Bianca fra due mesi e già c’è chi chiede ai leader europei di anticipare le sue politiche in tema di clima e ambiente nel solito modo: spendendo più soldi, a debito.
Per quanto decaduto sia il livello morale e intellettuale della politica, il suo declino non è paragonabile a quello degli intellettuali pubblici. I quali non sono nemmeno sfiorati dall’idea che la vittoria di Trump è in larga misura la reazione a una inflazione che ha morso la vita quotidiana delle famiglie e che è a sua volta il riflesso di anni di politiche monetarie lasche e spesa in deficit. Neppure contemplano la possibilità che gli elettori, che magari non si interessano minimamente di temi che appassionano gli esperti, invece vogliano dire la loro sulla questione fondamentale della pace e della guerra. Il diritto di voto, del resto, venne rivendicato proprio da chi non voleva più essere carne da cannone nel Risiko dei sovrani. Ai leader europei l’intellettuale collettivo ha già cominciato a chiedere comportamenti “lungimiranti”, che significa indipendenti da qualsiasi test elettorale.
Non sarà certo chi scrive a sostenere che ogni decisione della maggioranza è giusta in quanto tale. Ma le scelte collettive in una società libera non possono prescindere dal consenso. È surreale che i nostri intellettuali si comportino come consiglieri di un principe che pure non li ascolta, evitando accuratamente di confrontarsi con sentimenti e pensieri di buona parte dell’opinione pubblica. Chi ragiona sugli esiti di una elezione di solito si interroga sul comportamento degli elettori, che piaccia o meno è legittimo. Invece si preferisce pensare che i sostenitori di Trump siano “spazzatura”. È inconcepibile domandarsi perché rifiutino certe posizioni sul clima, sulla politica internazionale, o sulla nuova politica industriale. Non sono idee, ma bestemmie. Il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti farà senz’altro cose che non ci piaceranno. E tuttavia c’è da essergli grati, nel momento in cui rivela la fragilità di classi dirigenti convintissime di avere il monopolio della razionalità eppure tanto lontane da qualsiasi ragionevolezza.
(*) Direttore generale Ibl
Aggiornato il 12 novembre 2024 alle ore 09:50