Il Tribunale civile di Roma ha certificato un danno di 203 milioni di euro (interessi a parte) e altri 100mila euro di spese legali per la disastrosa gestione delle mascherine da parte dell’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, durante la pandemia.
Ma procediamo con ordine. Nell’aprile del 2023 la Jc electronics Italia srl, con sede a Colleferro, aveva presentato in sede civile una richiesta di risarcimento di quasi mezzo miliardo di euro a causa della revoca del contratto stipulato per l’importazione di milioni di mascherine filtranti KN95, durante la pandemia Covid. Revoca del contratto che, nel 2022, fu imputata alla mancanza di documentazione attestante la validità delle mascherine stesse.
Come riporta La Verità, nelle 31 pagine della sentenza, il Tribunale civile di Roma descrive la gestione che avrebbe prodotto il danno, revocando il contratto su basi illegittime.
La Jc electronics avrebbe consegnato migliaia di dispositivi di protezione individuale, nonostante il mancato pagamento delle fatture, costringendo l’azienda a ricorrere a risorse proprie per garantire la fornitura. Alcune mascherine furono contestate da Arcuri, con comunicazioni ufficiali, sostenendo che fossero assenti le necessarie certificazioni tecniche. Da lì la richiesta di ritiro delle mascherine per presunte irregolarità chiedendo la risoluzione del contratto.
Peccato che la Jc electronics avesse ottenuto una validazione sostitutiva sia dall’Inail che dalle Dogane. Il procedimento ha infatti accertato che la mancanza della documentazione del Comitato tecnico-scientifico è stato causato da un difetto di comunicazione interna tra uffici.
L’approvazione dell’Inail era stata trasmessa alla struttura commissariale ma non al Cts, a causa di un errore del responsabile del procedimento, Antonio Fabbroncini. Insomma, è stata mandata una sola mail invece di due.
Arcuri è stato accusato di aver gestito le importazioni in modo da favorire un circuito esclusivo (di Vincenzo Tommasi e Mario Benotti, mediatori della maxicommessa da 800 milioni di mascherine, pagate 1,2 miliardi di euro). Un’azione che, si legge nella sentenza, presuppone il “dolo intenzionale”.
I giudici civili evidenziano tuttavia che “da tale elemento di giudizio non può desumersi, con la ragionevolezza che richiede l’esercizio dell’azione penale, che il commissario Arcuri abbia dato espresse disposizioni a Fabbrocini di ignorare la seconda Pec”. E aggiunge: “Se ne può avere il sospetto, ma si resta nel campo dell’intuizione personale e non della prova penale”.
Rimane il fatto che ora la Presidenza del Consiglio dovrà pagare una cifra mostruosa. A causa dell’incompetenza di chi, ancora oggi, pretende di autoproclamarsi moralmente superiore. A dispetto dei danni che nei fatti continua a procurare.
Aggiornato il 12 novembre 2024 alle ore 09:23