Il ricordo del crollo del comunismo

Era un giovedì di 35 anni fa. Quel muro che separava il mondo tra i sommersi e i salvati a un tratto venne tirato giù, abbattuto come una parete di cartone. Caddero cosi calcinacci e menzogne per decenni taciute (anche) dalla nostra intellighenzia. Un papa polacco, un presidente americano figlio di un commesso dedito all’alcool e la sostanziale accondiscendenza di colui al quale venne rivolto un invito stentoreo: “Team down this wall!”, svolsero il ruolo di catalizzatori di un evento storico che li vide di fatto nel posto giusto al momento opportuno. In fondo, con un poco di enfasi messianica, si può dire che lo spirito dei tempi si incarnò nelle loro opere e nelle loro parole. Le omissioni invece – e per fortuna – non vennero alimentate. Il 9 novembre 1989 l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche collassò sotto il peso di un fallimento politico, storico, economico e morale senza pari. Quel meccanismo avviatosi con la Rivoluzione bolscevica del 1917, che tentò di sfruttare appieno il rancore delle masse proletarie di contadini ed operai, al fine di modellare in terra quanto Karl Marx ed Friedrich Engels avevano profetizzato nella sola dimensione teoretica, si inceppò per non ripartire mai più, nonostante i reiterati e ossessivi tentativi postumi di riavviare una macchina infernale.

Il comunismo quel giorno esibì al mondo le sue miserie e la sue nudità senza riuscire a camuffare nuovamente un sistema politico che era antitetico alla natura umana; senza riuscire a censurare o a uccidere nuovamente i Aleksandr Isaevič Solženicyn e i Pavel Aleksandrovič Florenskij il cui genio comunque, sebbene a volte in maniera carsica, avrebbe continuato a produrre frutti intellettuali rigogliosi e dal sapore libertario. Il socialismo reale, insomma, venne sconfitto, e qualcuno ebbe l’ardire di credere perfino nella fine della storia. Non fu così. La frantumazione del bipolarismo mondiale in un mosaico caleidoscopico di tanti pezzi geopolitici, il tentativo dell’estremismo islamico di occupare spazi forniti dal secolarismo delle nostre società avanzate, oltre che nuove ed inedite richieste di emancipazione economico-sociale da parte di Paesi emergenti, hanno fatto sì che il grande libro dei tempi venisse implementato di nuove pagine da scrivere.

Il muro di Berlino diede indubbiamente un forte scossone al modello comunista, ma non riuscì a dissolvere totalmente la distopia collettivista. Tutt’altro. Essa riuscì a reinventarsi in tanti rivoli ideologici quali il terzomondismo, il pauperismo, un certo tipo di ambientalismo, finanche un perbenismo parossistico (leggi cultura woke e, più in generale, il follemente corretto inclusa anche la “cancel culture”) che ereditarono dal ceppo paterno lo stesso odio per l’Occidente, per il libero mercato, per la proprietà privata e quindi, va da sé, per essere umano preso nella sua irripetibile unicità. In realtà, vedi la Cina, si è giunti perfino a saldare l’apparato statuale e burocratico, tipico di un regime comunista, con le dinamiche proprie del capitalismo dando così luogo ad una chimera simile all’Ircocervo crociano che, al netto delle numerosissime contraddizioni, ancora riesce a trovare un saldo punto di sintesi. Ma per quanto tempo ancora? Staremo a vedere.

Aggiornato il 11 novembre 2024 alle ore 11:03