A quanto pare, la maggior parte delle persone sarebbe sconvolta dall’esito delle elezioni presidenziali americane.
La mente umana è particolarmente bizzarra: per qualche ragione, alcuni specifici “oggetti” vengono talmente tanto distorti da venir percepiti come qualcosa di diverso da quello che realmente sono. Capita nel contesto antropologico: basti pensare alla nostra conoscenza ed interpretazione di miti e simboli, e l’immensa Marija Gimbutas lo sapeva bene a dispetto del suo capolavoro tutt’oggi totalmente ignorato dal famoso, quanto ormai logoro, mainstream. Capita nel contesto sociale: la neolingua woke ne è un grottesco esempio, eppure i suoi seguaci sono parecchio numerosi a livello globale. Capita nell’interpretazione e comprensione della storia: in America, i Democratici nascono come secessionisti e schiavisti e il tanto decantato Abram Lincoln era un Repubblicano, però oggi chissene frega capire il passato tanto le cose sono cambiate nel presente (… ma ne siamo proprio sicuri?). Capita nel contesto politico: ohibò, ha rivinto Trump (per non citare il resto d’Europa in generale e l’Italia in particolare), eppure fino allo spoglio elettorale era uno scenario che veniva descritto come assurdo quanto, quindi, impossibile.
Però, molto spesso, la mente risulta in contrapposizione con le proprie emozioni. I bambini piccoli, per esempio, seppur non capiscono i concetti razionali riescono a percepire la veridicità di ciò che gli viene detto in base al tono della voce e tanti altri aspetti. Gli stessi che regolano la comunicazione: più dell’80 per cento di ciò che capiamo è dato dal paraverbale e non dalle parole stesse. Per questo i teorici adulti fanno tanti danni! Gli adulti, invece, hanno disimparato quel tipo di spontaneità. Eppure, forse sono talmente tanto saturi delle finte favole che, a livello generale, preferiscono ipotetici incompetenti (e bisognerebbe pure chiedersi chi ha formulato l’ipotesi), che parlano però di temi concreti e sentiti dai più, a persone che si autoproclamano superiori e che calano dall’alto elargizioni filosofiche prive di qualsiasi buon senso per le persone “normali”. Le virgolette, oggi, sono d’obbligo essendo la parola normale diventata ripugnante ed offensiva (e prima o poi spero che qualcuno riesca a spiegarmi il perché).
Sono quelle stesse persone che si devono alzare la mattina per andare a lavorare e arrivare a fine mese, sono quelle che – come ognuno di noi, a prescindere dal punto del globo dove si ha avuto la fortuna o la sfortuna di nascere – vorrebbero il proprio piccolo spazio di libertà, per poter fare la propria vita, per poter coltivare le proprie passioni, per poter dar sfogo al proprio amore e alle proprie inclinazioni. Sono ognuno di noi, perché ognuno di noi è un essere umano.
William Hogarth, nella sua “L'analisi della bellezza”, diceva che la bellezza è la variazione all’interno della ripetizione. Per me, vuol dire che ogni essere umano è la ripetizione di questo nostro genere vivente, ma varia perché ognuno di noi è unico e speciale.
Eppure, abbiamo creato una società che o si rifiuta di prendere in considerazione questi aspetti, oppure viene presentata come “impresentabile”. E ci troviamo con politici che continuano a ciarlare di amenità invece di affrontare le questioni reali. E con cittadini che fraintendono il senso stesso della parola politica, che viene da “polis”, e hanno rinunciato ad ogni tipo di sacrosanta pretesa. Nella splendida definizione della Treccani, consultabile anche online, si può leggere: “L’etimo della parola, e la sua stessa struttura, racchiudono il significato della politica e mostrano il segno dell’ambito cui essa specificamente afferisce: la sfera pubblica e comune. Politica deriva dall’aggettivo greco πολιτικός, politico, a sua volta derivato da πόλις, città. Era il termine in uso per designare ciò che appartiene alla dimensione della vita comune, dunque allo Stato (πόλις) e al cittadino (πολίτης). Centro e insieme oggetto della polis è la πόλις (città), la vita nella città e della città; τά πολιτικά è l’espressione che indica, in generale, le questioni politiche... La città è il luogo dei molti (οἵ πολλοί), è anche il luogo che fa di tali molti un insieme, una comunità (κοινωνία). Non stupisce allora che la parola πολιτικός (politico) e la parola πόλις (città) condividano la medesima radice πολ- della parola che dice ‘i molti’ (οἵ πολλοί)”.
L’essere umano, in quanto animale sociale, può prescindere dalla sua dimensione comunitaria. La regolazione della stessa influenza il benessere del singolo e della comunità nel proprio insieme. Si possono avere opinioni discordanti su come regolamentare, ma non si dovrebbero avere differenti obiettivi.
Servirebbe solamente uno scambio costruttivo serio. Servirebbero partiti, e quindi persone, in grado di dialogare, seppur in disaccordo, perché mosse da un intento comune: il benessere dell’intera società. La stessa definizione dell’Oms stabilisce che: “Nel problema della salute entrano in causa non soltanto l’omeostasi fisica ma anche componenti psicologiche e sociali. In questo modo l’individuo viene considerato nelle sue tre dimensioni: biologica, mentale e sociale”. La politica (i vincitori e gli oppositori, tutti) dovrebbe ritrovare se stessa e tornare alla sua missione occupandosi esattamente di questo, oltre il populismo, oltre la faciloneria, altrimenti continuerà a rimanere totalmente comprensibile la sfiducia nei media e lo scollamento del Paese reale da quello raccontato. E forse proprio questa constatazione dovrebbe spingerci tutti a tentare un nuovo approccio: scomodo, dissidente, non ideologico, scientifico (il metodo vero che si basa sul dubbio e sull’autocritica).
Basta con la finta inclusione fatta di parole ridicole e prive di senso, basta con lotte intestine senza fondamenta come se l’“avversario” politico fosse il nemico da abbattere. Basta con i siparietti di propaganda, da una parte come dall’altra.
Le elezioni americane sono state solo l’ultimo esempio per confermare che le chiacchiere stanno a zero. Perché nessun essere umano è superiore ad un altro e perché nessuno può considerare inferiori le esigenze e le istanze di un’altra persona.
Vuol dire forse questo, alla fine, essere liberale?
Aggiornato il 08 novembre 2024 alle ore 09:40