Sciopero Camere Penali, intervista a Michele Sarno

Michele Sarno è stato eletto da poche settimane presidente della Camera penale di Salerno. In un colloquio con L’Opinione racconta, tra le altre cose, i motivi dello sciopero della Giunta dell’Unione camere penali.

Avvocato Sarno, da qualche settimana lei è stato rieletto per la terza volta presidente della Camera penale salernitana. Aderendo all’astensione collettiva dell’attività giudiziaria proclamata dalla Giunta dell’Unione camere penali per le giornate del 4, 5 e 6 novembre, ha svolto giustamente il suo ruolo di garanzia. Lei non crede però che le motivazioni di questo sciopero possano essere lette in chiave politica e in particolare contro il Governo?
Le Camere penali sono e restano un’associazione autonoma e scevra dal posizionamento politico. Ritengo che sia inaccettabile l’idea di uno sciopero contro il Governo. Le polemiche di questi giorni rappresentano solo la ricerca strenua di una strumentalizzazione politica. L’astensione nasce per la tutela dei diritti delle categorie più deboli e non può certo divenire bandiera faziosa.

Alcuni giornali, soprattutto quelli di tendenza progressista, hanno titolato alcuni articoli in merito a questo sciopero con affermazioni come “per una volta la magistratura e l’avvocatura vanno a braccetto contro il Governo” o “penalisti in rivolta contro il Governo”. Ritiene che sia la lettura corretta di questa astensione collettiva?
Credo che oltre ai titoli si dovrebbe avere la pazienza di leggere il contenuto delle affermazioni rese dai protagonisti delle vicende che sono al centro dell’attuale dibattito. La possibilità che avvocatura e magistratura si ritrovino su alcune questioni di principio e di diritto non mi ispira alcuna meraviglia. Forse dovremmo preoccuparci molto di più per tutte le volte in cui i protagonisti della vita giudiziaria del nostro Paese si trovano, su questioni di fondamentale importanza, in completo disaccordo. Nel rispondere alla sua domanda non posso che ribadire la non condivisibilità di una narrazione che vede l’avvocatura contro il Governo.

Del resto basterebbe riflettere sul fatto che l’attuale Governo sta portando avanti e legittimando una battaglia storica dell’avvocatura relativamente alla separazione delle carriere. Già solo questo basterebbe a far comprendere quanto sia fuorviante una interpretazione che voglia immaginare un’avvocatura schierata (quasi fosse un partito politico) contro l’attuale Governo.

Le motivazioni di questo sciopero sono state riassunte dal presidente dell’Unione camere penali, Francesco Petrelli, con un giudizio molto duro del Ddl Sicurezza, il presidente ha affermato che “il pacchetto sicurezza rivela una matrice sostanzialmente populista, profondamente illiberale e autoritaria”, lei è d’accordo con queste affermazioni?
Se leggiamo con attenzione le dichiarazioni rese dal Presidente Petrelli si comprende chiaramente il desiderio di offrire un contributo teso alla realizzazione di riforme orientate al rispetto dei diritti. Un desiderio che, però, non vuol essere censura ma proposta di confronto leale e sincero. In questo senso si sublima il valore di un’astensione che non è contro qualcuno ma a favore di tutti.

Da quel che risulta, l’avvocatura e i suoi più alti vertici di categoria hanno più volte incontrato il ministro della Giustizia Carlo Nordio e hanno partecipato anche a numerose audizioni nelle competenti Commissioni parlamentari, eppure l’Ucp ritiene di non essere stata ascoltata e giudica negativamente il fatto che l’iter parlamentare per l’approvazione del Ddl stia proseguendo speditamente al Senato. È effettivamente così, il ministro non ha recepito le vostre proposte o dietro questa motivazione ufficiale c’è dell’altro?
Il ministro Nordio ha sempre mostrato da quando si è insediato un grosso rispetto per l’avvocatura attraverso una reale capacità di ascolto. Nonostante ciò è evidente che in una democrazia matura ci possano essere divergenze. La cosa importante è che le divergenze vanno affrontate col confronto e non lo scontro. Uno scontro che le Camere penali attraverso le dichiarazioni del proprio presidente hanno escluso e che invece appare magnificato e rappresentato ad arte da soggetti esterni all’avvocatura che coltivano interessi confliggenti con l’attuale Governo.

C’è poi un altro motivo per cui l’avvocatura sciopera ed è la solidarietà che l’Ucp ha ritenuto giusto dare al Tribunale di Bologna, oggetto nei giorni scorsi di invettive da parte di alcuni esponenti della maggioranza per il ricorso sulla questione migranti in Albania di cui si è tanto parlato. Su questo punto specifico non ritiene che l’avvocatura sia entrata a gamba tesa in una discussione tra politica e magistratura?
L’attuale astensione non nasce quale atto di solidarietà nei confronti della magistratura ma quale tutela dei diritti dei più deboli. Del resto non potrebbe essere diversamente. Nelle corde di noi penalisti è chiaro il principio della tutela dei diritti e, quindi, non sarebbe ammissibile uno sciopero solidale se non sulla base di principi e norme poste a tutela e garanzia dei cittadini. In tal senso ritengo doverosa una importante precisazione rispetto a quanto occorso a Bologna. Il Tribunale di Bologna nell’esercizio delle sue funzioni correttamente rinviava alla Corte di Giustizia europea (per quanto concerne il decreto legge sui paesi di origine sicuri) dovendo risolvere un ipotetico contrasto tra la norma nazionale e il diritto dell’Unione Europea. Il problema è sorto, a mio sommesso avviso, a cagione delle modalità argomentative utilizzate dal Tribunale che ha sacrificato il diritto sull’altare della critica politica inaccettabile nel momento in cui risulta inserita in un provvedimento giudiziario. E attraverso questo approccio invasivo si è determinato l’ennesimo strappo con la politica. Uno strappo che da troppo tempo registra un problema annoso e insuperabile sino a quando non sarà affrontato con onestà intellettuale rimettendo al centro del dibattito i principi fissati nella nostra Carta costituzionale. Da troppo tempo invasioni di campo non giustificabili hanno creato una confusione nella corretta gestione della separazione dei poteri laddove, al netto degli ideologismi, la risoluzione è offerta dalla corretta lettura della Costituzione.

I padri costituenti in maniera illuminata utilizzarono il termine di potere riferendolo esclusivamente alla espressione legislativa e alla espressione esecutiva, mentre non a caso quando fecero riferimento alla Magistratura la definirono un ordine. E’ in questa distinzione semantica e di ordine contenutistico che va colta la anomalia che ci sta accompagnando da alcuni decenni. Il problema è rappresentato dal fatto che la Magistratura ad un certo punto ha ritenuto di essere un potere e non un ordine. Ha travalicato e ha tracimato il suo spazio naturale immaginando di essere depositaria di una funzione catartica e purificatrice che non le era stata assegnata dai Padri Costituenti.

E così da ordine preposto alla custodia delle leggi e a garantirne il rispetto attraverso l’interpretazione sempre più estesa si è sostituita al legislatore condizionandolo.

Dimenticando che non è compito della Magistratura correggere le leggi in quanto nella nostra democrazia la illegittimità di una norma è demandata al vaglio della Corte costituzionale. A seguito di ciò abbiamo assistito alla compressione del principio di tassatività che era elemento di garanzia per tutti i cittadini e siamo passati dalla cultura giuridica della consapevolezza chiara del disvalore del comportamento all’insidioso e incerto non poteva non sapere.

In questo senso ritengo che l’avvocatura sia chiamata ad una prova importante di maturità nel nostro Paese: difendere i diritti di tutti attraverso la tutela di una democrazia in cui poteri e ordini non possano ispirarsi ad una logica di prevaricazione. Solo in questo modo riusciremo a difendere lo Stato che negli ultimi tempi non viene più avvertito nella sua reale essenza e sembra sempre più relegato ad apparire come la declinazione del participio passato del verbo essere.

Aggiornato il 06 novembre 2024 alle ore 18:16