Lasciatemi fare un ragionamento semplice, razionale e cartesiano. Il refrain come al solito, anche nel caso del cataclisma di Valencia, è che il villain è il vituperato biossido di carbonio, colloquialmente chiamato “cioddue”.
Ora, chi ha avuto tempo e pazienza di leggere i rapporti dell’Ipcc – che, si ricorda non è un’agenzia Onu ma un gruppo di studio intergovernativo che si autocoopta tra fedeli dello stesso credo e include molti sociologi, economisti ed ex politici (quasi sempre di sinistra e trombati) – avrà notato che tutte le conclusioni sulle cause e conseguenze dei cambiamenti climatici sono sempre esposte in forma probabilistica. I modelli sviluppati in tale ambito tracciano previsioni molto approssimative. Gli scenari mostrano ampia variabilità come il pronosticato incremento delle temperature che oscilla da 1 a oltre 4 gradi, a fine secolo. Sempre di chance si parla. Ben lungi quindi dalla certezza scientifica, brandita come un dogma, dai facinorosi climatici che si incollano alle strade, annunciando l’Armageddon ambientale e l’estinzione della vita sul pianeta.
Non si sa al 100 per cento ma è probabile (forse solo al 50 per cento) – dicono in coro gli adepti climatici. A chi obietta la naturalità e ciclicità dei cambiamenti climatici e collegati fenomeni estremi, i sostenitori della causa antropica oppongono il principio di precauzione: se esiste, anche solo in base ai modelli teorici, un rischio, legato alla relazione causale tra clima e CO2 antropica, è d’obbligo impegnarsi per decarbonizzare le emissioni delle attività umane. È così si spendono miliardi per cappotti termici, mobilità elettrica, conversioni della filiera agricola e alimentare, mandando in crisi interi settori produttivi – e restringendo sempre di più i nostri stili di vita e le nostre libertà – nella speranza di stabilizzare il clima, come se fosse il termostato di uno scaldabagno.
Ammesso e non concesso che le emissioni antropiche siano il principale fattore dei cambiamenti climatici, i pannicelli caldi sopradescritti non hanno, come dimostrato dai fatti alla cronaca, nessun impatto sulla moderazione degli eventi estremi. Lo stesso principio di precauzione suggerirebbe, prima di inseguire la chimerica decarbonizzazione del pianeta, di investire nella preparazione e prevenzione degli effetti catastrofici di tali eventi. Da oltre settant’anni si parla di dissesto idrogeologico, eppure a ogni alluvione scopriamo che poco o nulla è stato fatto per ampliare o pulire gli alvei dei fiumi e costruire sistemi di contenimento delle esondazioni e, persino, manutenere le caditoie stradali per il deflusso delle piogge. Ma queste sarebbero soluzioni semplici.
Ai nostri decisori politici piace di più pensare che la colpa dei disastri, come quello in Spagna, non è delle carenze amministrative e della mancata pianificazione per far fronte alle emergenze, ma delle cattive abitudini dei cittadini che, qualsiasi cosa fanno, persino quando respirano, emettono anidride carbonica.
Aggiornato il 01 novembre 2024 alle ore 09:59