Franco Gabrielli è basito. Ma non dall’inchiesta sui dati rubati. L’ex capo della Polizia ed ex direttore dell’Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna), in una intervista a Repubblica, sostiene di essere “stupito che ci si stupisca”. A suo avviso, “i dossieraggi fanno parte della nostra storia”. Inventore dell’Agenzia per la cybersicurezza quando era sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel Governo Draghi, Gabrielli commenta l’inchiesta di Milano sui dossier abusivi. “Nel deep e dark web da sempre c’è un mercimonio: si vendono e si comprano informazioni per danneggiare o ricattare avversari. Questa indagine di Milano, d’altronde, assomiglia molto a quella di 18 anni fa sull’affaire Telecom dove, vorrei ricordare, è stato posto anche un segreto di Stato”. Secondo Gabrielli, “non è possibile buttarla come al solito in caciara gridando all’eversione, al complotto e alle teorie più fantasmagoriche. Qui è necessario prendere coscienza: il problema è che, come diceva il ministro Vittorio Colao, il 90 per cento delle banche dati pubbliche di questo Paese sono insicure. Il fatto che ci mette davanti l’indagine della procura di Milano non è certo lo spione di turno. Ma lo stato di salute delle nostre infrastrutture”.
Quindi su questo punto servono “investimenti importanti. Ma prima di tutto c’è un dato culturale: bisogna capire che la sicurezza costa. Inasprire le pene, creare nuovi reati, non costa invece niente. Ma non serve a nulla, se non a intercettare un dividendo di consenso immediato”. Dall’inchiesta di Milano emerge anche la difficoltà dei controlli su ditte esterne che si occupano della manutenzione delle reti. “In questo Paese manca purtroppo il concetto di infrastruttura critica che deve essere di esclusiva competenza pubblica. Perché quelle banche dati custodiscono i nostri dati sanitari, finanziari, economici, di giustizia, la nostra libertà. Guardate, quello che ha scoperto la procura di Milano è gravissimo. Ma temo sia ancora molto poco”.
Secondo Francesco Greco, i dati sensibili rappresentano “il petrolio moderno”. Per il magistrato, ex procuratore di Milano, “i dati sono potere. E su questi si è riflettuto poco”.
Greco commenta il caso dei dossier illegali in un’intervista alla Stampa. Dietro questo mercato ci sono “tutti, chiunque è interessato ad aumentare il proprio potere, compreso quello economico e commerciale. A quanto leggo dai giornali, l’inchiesta di Milano sembra inserirsi in questo scenario, piuttosto che in una logica politica in cui si cerca di acquisire dati per colpire il proprio avversario”. C’è chi chiama in causa anche i servizi segreti. “È chiaro che ci sono settori dello Stato che hanno diritto e dovere di acquisire dati perché devono proteggerlo dal terrorismo internazionale, dalla corruzione e così via. Il ruolo dei servizi, di cui tanto si parla, è essenziale per uno Stato. E, va da sé, non può essere svolto alla luce del sole. Ma può essere svolto secondo regole precise. Se le regole non sono precise, si crea un bacino dove può succedere di tutto. E nella storia italiana di queste vicende ne abbiamo viste tante”.
I magistrati milanesi parlano di “pericolo per la democrazia” e Greco è d’accordo con questa affermazione, perché “l’essenza di un sistema democratico è la tutela dei diritti e dei dati dei cittadini. Se questi vengono messi a rischio, significa che c’è un grande problema”. Inoltre, “i dati servono a manipolare gli interessi delle persone”. Quindi il modo migliore per tutelarsi è “investendo e penalizzando, anche in via amministrativa i custodi di informazioni che non le controllano in maniera adeguata”. Il Governo chiede un inasprimento delle pene. “Io introdurrei più che altro un’aggravante a effetto speciale. Che, quando riguardano l’acquisizione e l’elaborazione di dati, aumenta le pene della metà per i reati di ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio”.
Aggiornato il 29 ottobre 2024 alle ore 16:17