In una società globalizzata dove impera progressivamente il dogma del “politicamente corretto”, la presidente della Commissione europea, nonché discepola della Fabian Society, Ursula von der Leyen, ha escogitato una nuova legge “bavaglio” che incrementi la strategia del silenzio finalizzata a reprimere la libertà di opinione e la libertà di stampa. Oltre al fatto che l’Unione europea presenta un deficitario sistema democratico, dal momento che solamente alla Commissione europea è riconosciuto il potere di iniziativa legislativa (pur non essendo eletta direttamente dal popolo europeo, come avviene invece per il Parlamento europeo), l’operazione strategica di censura continua quel percorso iniziato da diversi anni, in cui dietro l’intento formale di contrastare una ipotetica disinformazione si occulta l’obiettivo sostanziale di silenziare il dissenso.
Pertanto, il programma politico di Ursula von der Leyen, rieletta alla guida della Commissione europea per un secondo mandato, include una forte enfasi sulla lotta alla disinformazione e alle fake news, alimentando preoccupazioni su un possibile rischio di censura delle opinioni scomode. La Commissione intende proseguire con l’attuazione del Digital Service Act (Dsa), una legge approvata nell’agosto 2023 che obbliga le piattaforme online con oltre 45 milioni di utenti mensili (come Facebook, X e Instagram) a rimuovere rapidamente la disinformazione e a fornire regolari aggiornamenti trasparenti su tali operazioni. Le sanzioni previste per la non conformità sono severe, includendo multe fino al 6 per cento del fatturato globale e la possibile esclusione dall’Unione europea.
Ursula von der Leyen, nel suo programma, ha sottolineato la necessità di proteggere i sistemi democratici europei dall’aumento delle minacce, citando il pericolo rappresentato dalla manipolazione delle informazioni, spesso intensificata da attori stranieri, come la Russia. A questo scopo, ha proposto un nuovo “Scudo europeo per la democrazia”, ispirato a modelli come Viginum in Francia e l’Agenzia svedese di difesa psicologica, con l’obiettivo di contrastare la manipolazione delle informazioni straniere e promuovere una rete europea di factcheckers. Nonostante queste intenzioni dichiarate, molti esperti, tra cui Jacob Mchangama e Sarah Hardiman, hanno espresso preoccupazioni sul rischio che il Dsa e altre misure possano limitare la libertà di parola. Secondo loro, l’ampia discrezionalità conferita alle autorità europee e l’incentivo per le piattaforme a censurare i contenuti potrebbe portare a un controllo governativo eccessivo sulle informazioni online. Michael Shellenberger, giornalista investigativo, ha paragonato queste misure a un tentativo di stabilire una forma di censura governativa, riducendo la libertà di espressione.
In questo contesto, il dibattito si concentra sul bilanciamento tra la lotta alla disinformazione e la difesa delle libertà fondamentali, con il timore che politiche apparentemente volte alla protezione della democrazia possano invece limitare i diritti individuali. Al postutto, qualora la succitata legge entrasse in vigore, sarebbero violati i fondamentali principi di libertà di stampa, di opinione e di espressione, sanciti sia all’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sia all’articolo 21 della Costituzione italiana, obliterando ulteriormente il nostro stato di diritto.
“Ubi societas, ibi ius”
Aggiornato il 07 ottobre 2024 alle ore 10:43