Un termine che mi piacerebbe riabilitare dalla censura assoluta che avvolge la fraseologia del ventennio è Plutocrazia. Un concetto ingiustamente ostracizzato sia a sinistra che nel mondo liberale. Eppure chi ne faceva uso prima del duce era stato addirittura Alexis de Tocqueville. A differenza della “timocrazia” nella quale il sistema politico attribuisce più o meno poteri in base al censo, la plutocrazia si configura come quel sistema in cui i detentori del potere economico o finanziario disegnano e dirigono le scelte politiche. In un rapporto conflittuale d’interessi, essi influenzano regole e criteri di merito ritagliati su di essi, soprattutto per consolidare posizione economica e privilegio sociale. Oggi assomiglia molto alla tecnocrazia che, spesso, combina il predominio tecnologico a quello economico. Si pensi agli gnomi di Davos, al quasi monopolista Bill Gates, ai presunti filantropi con “Strings attached” come George Soros (nella foto) e vari altri, ai quali basta una telefonata per farsi ricevere dagli inquilini dei più alti palazzi per impartire consigli che sembrano pizzini.
Il potere politico nelle mani di pochi, mai eletti, mai designati. E se l’interlocutore sgarra ecco pronta la punizione dei mercati. La febbre intermittente dello spread ne è stato esempio. Vorrei concludere con le parole di un celebre padre della nostra Costituzione, Gaspare Ambrosini: “Approfittando della loro potenza economica i plutocrati sono portati ad accaparrarsi i gangli vitali dell’organizzazione politica per servirsene a beneficio dei propri gruppi. Il che è maggiormente pericoloso quando sia aumentata l’ingerenza dello stato nel campo economico, giacché a questa aumentata ingerenza dello stato corrisponde una maggiore possibilità da parte dei gruppi plutocratici di piegare e sfruttare in proprio vantaggio gli interessi e le risorse generali del Paese”.
Aggiornato il 04 ottobre 2024 alle ore 12:22