Sciopero Rai. Come avvenuto in altre circostanze nell’azienda di viale Mazzini, non ha rilevanza quanti dei circa 10mila dirigenti, impiegati, operai si astengono dal lavoro. Il meccanismo della messa in onda dei programmi è tale che bastano poche assenze per far saltare tutta la programmazione. Non hanno così scioperato i quasi duemila giornalisti dell’azienda che sono rimasti ai loro tavoli di lavoro nelle redazioni a guardare le notizie delle agenzie italiane e straniere. Bloccati anche gli inviati nelle zone calde dei vari conflitti. La protesta indetta su tutto il territorio da tutti i sindacati di categoria Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Snater ha motivazioni varie. Quella legata al contratto rientra nelle strane vicende dei rapporti industriali in Italia tra lavoratori e aziende.
Il contratto dei dipendenti di viale Mazzini è stato firmato a luglio scorso ma la piattaforma, sottoposta all’esame delle assemblee, è stata bocciata con una percentuale del 52 per cento. Lunedì, allo sciopero, è stato aggiunto dalla Slc-Cgil un “presidio” sotto la sede di viale Mazzini, cercando di coinvolgere più lavoratrici e lavoratori possibile, che presto dovranno lasciare libero l’edificio per ristrutturarlo a causa della presenza di amianto. La programmazione delle tre reti ha subito sostanziali modifiche, con parte delle trasmissioni in diretta non andate in onda e sostituite da programmi in archivio, quindi spezzoni registrati e tratti dalle puntate precedenti. Repliche in quantità per l’intera giornata.
I sindacati, non ritenendo sufficientemente robuste le motivazioni dello sciopero, vi hanno aggiunto aspetti che si trascinano da tempo: garantire risorse certe in grado di assicurare un solido futuro (con canone o nuova azienda pubblica), incrementare un piano industriale per mission produttiva ed editoriale, porre all’attenzione delle istituzioni un progetto di rilancio del ruolo di un’azienda che è concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, bloccare la vendita delle quote di maggioranza di Rai Way, la società delle torri di trasmissione che dovrebbe fondersi con la sorella Mediaset.
A dar man forte ai sindacati di categoria è arrivato anche un comunicato di solidarietà dei giornalisti aderenti all’Usigrai, che chiedono il rilancio dell’azienda “bloccata da partiti e governo che puntano ad una nuova spartizione delle poltrone, in vista del rinnovo del Consiglio di amministrazione”. Questo è un punto cruciale della battaglia delle sinistre, che temono di perdere quel ruolo egemone che hanno avuto per decenni. Il primo scontro, dopo l’esperienza del gruppo dei “Cento”, è avvenuto il 6 maggio 2024 quando nonostante la mobilitazione dell’Usigrai guidato da Daniele Macheda, andarono in onda il Tg2 delle ore 13, il Tg1 delle 13,30 ed altre testate regionali. “Era la fine del monopolio, osservò il leader del nuovo sindacato Unirai, anche se qualcuno fatica ad accettare la nuova realtà fatta di pluralismo”.
Il nuovo confronto-scontro avverrà giovedì, quando a San Macuto la Commissione parlamentare di vigilanza voterà per i quattro membri del Consiglio di amministrazione. La proposta del centrodestra di procedere alla riforma della Rai dovrebbe aver aperto lo spazio al rinnovo dei vertici di viale Mazzini. L’incognita resta se i parlamentari e senatori del Partito democratico parteciperanno o meno alla seduta. Per ora, i dem hanno ribadito che non voteranno il rinnovo del Cda senza una nuova legge mentre il Movimento 5 stelle della presidente Barbara Floridia sembra propenso ad andare avanti.
Aggiornato il 24 settembre 2024 alle ore 10:52