Polizze calamità naturali: il fallimento dello Stato

La nuova proposta del Governo solleva dubbi sul ruolo dello Stato, che mira a imporre ai cittadini un onere aggiuntivo per rischi già coperti dalla fiscalità generale

La recente proposta del Governo, annunciata da Nello Musumeci, ministro della Protezione civile, in occasione di un convegno organizzato dall’Ania, l’associazione delle imprese assicuratrici, di introdurre un sistema di polizze obbligatorie per proteggere i fabbricati dai rischi naturali, potrebbe sembrare, a prima vista, una misura volta a garantire maggiore sicurezza ai cittadini.

In realtà, analizzando la questione in maniera più approfondita si rivela, piuttosto, come il tentativo di promuovere l’ennesimo intervento statale in palese contrasto con la libertà individuale e la responsabilità personale, che ignora i principi alla base di una società aperta, basata sull’economia di mercato. Tale proposta contiene, infatti, pericolose insidie per la libertà economica e la proprietà privata.

È innegabile, in particolare, come imporre per legge un’assicurazione obbligatoria significhi privare i proprietari della possibilità di valutare autonomamente i rischi e di decidere, secondo le proprie esigenze e capacità economiche, se e come tutelarsi. In una democrazia liberale, la scelta di stipulare un’assicurazione dovrebbe derivare da un calcolo personale e razionale, ancorato a fattori individuali, e non essere dettata da prescrizioni statali che subordinano la libertà economica a un’imposizione burocratica, vincolando gli obbligati a oneri e costi non negoziabili.

A parte quanto prima rilevato, ciò che però desta maggiore perplessità è il paradosso insito nell’iniziativa di cui trattasi, che induce a riflettere sul ruolo e sui compiti dello Stato. In proposito vi è da considerare che esso, da una parte, giustifica la propria esistenza sulla base della protezione dei cittadini, assolvendo al compito di tutelare le loro vite e proprietà, anche contro eventi avversi come le calamità naturali; dall’altra, mediante il progetto congetturato dal citato ministro, sembra voler delegare ai singoli individui l’onere di tutelarsi, imponendo un ulteriore peso economico in nome della “prevenzione” e della “sicurezza”.

Il paradosso è evidente: gli italiani non solo contribuiscono con le loro tasse alla gestione delle emergenze, ma sarebbero addirittura costretti a proteggersi autonomamente tramite una polizza assicurativa!

In un ambiente fiscale come quello italiano, tutti i cittadini e, in particolare, i proprietari di immobili contribuiscono già in maniera sostanziale al bilancio pubblico tramite tasse sulla proprietà, imposte sui redditi e tributi locali. Queste entrate tributarie dovrebbero assicurare che l’apparato statale svolga le sue funzioni fondamentali, comprese la gestione delle infrastrutture pubbliche e l’intervento in caso di emergenze come alluvioni, terremoti e altre calamità.

La stessa Costituzione, del resto, gli impone di assicurare sicurezza e protezione della vita dei cittadini. Pertanto, l’introduzione di una polizza obbligatoria per coprire i danni derivanti dalle calamità naturali, in luogo di costituire una necessaria misura di sicurezza, si conferma come un’implicita ammissione di incapacità da parte del potere pubblico. È come se quest’ultimo ammettesse di non essere più in grado di adempiere ai propri doveri fondamentali, costringendo i cittadini a farsi carico dei costi di eventi che dovrebbero già essere coperti dalle risorse coercitivamente raccolte tramite la tassazione. Tale approccio, com’è manifesto, non solo duplica l’onere economico per i contribuenti, ma mina il patto fiscale su cui si fonda lo Stato moderno, definito da Ludwig von Mises: “Apparato sociale di costrizione e di coercizione”.

La proposta è, inoltre, palesemente incoerente sotto vari aspetti, persino stravagante. Se l’erario raccoglie tasse per garantire la sicurezza collettiva, perché imporre un’assicurazione obbligatoria per i danni causati dalle calamità naturali?

Queste, per definizione, sono eventi collettivi che richiedono un intervento pubblico, non una responsabilità individuale. La polizza obbligatoria privatizza, dunque, un rischio che dovrebbe essere gestito collettivamente, trasferendone il peso sui singoli cittadini.

In un sistema già caratterizzato da una pressione fiscale elevata (oltre il 40 per cento del Pil è costituito da tributi), detta nuova misura appare come un’aggiunta ingiustificata sul loro groppone. Gli stessi cittadini dovrebbero piuttosto pretendere che la protezione dalle calamità naturali sia adeguatamente assicurata dall’amministrazione statale e dalle sue articolazioni periferiche, dato che rappresenta una delle prestazioni garantite dalle imposte, non un ulteriore costo da affrontare. L'imposizione di un’assicurazione obbligatoria creerebbe in buona sostanza un doppio fardello economico e una riduzione della libertà individuale.

Un altro aspetto critico, difficilmente eludibile, è il legame stretto che si verrebbe a creare tra Stato e settore privato assicurativo. Con le polizze obbligatorie, le compagnie di assicurazione diventerebbero le principali beneficiarie di una normativa che limita la scelta dei cittadini onerati, imponendo loro una soluzione unica. Né sarebbero incentivate a competere sui prezzi o a migliorare i servizi offerti. La concorrenza, che in un libero mercato spinge le imprese a essere più efficienti e a offrire soluzioni più vantaggiose per i consumatori, verrebbe compromessa. Si creerebbe così una forma di “clientelismo pubblico”, dove lo l’autorità governativa, anziché lasciare che il mercato operi liberamente, favorisce determinati attori privati, distorcendo il naturale equilibrio tra domanda e offerta.

In siffatto scenario, la scelta non è più libera, ma vincolata a un’imposizione statale, con il rischio che i costi delle polizze aumentino progressivamente senza che i cittadini possano negoziare o optare per alternative più economiche. Ciò potrebbe anche portare alla creazione di barriere d’ingresso per nuovi operatori del settore, limitando ulteriormente la concorrenza. Le grandi compagnie assicurative, favorite da un mercato garantito dall'obbligo statale, consoliderebbero il loro potere, mentre le piccole imprese potrebbero non avere le risorse per competere. Questo favorirebbe una concentrazione del mercato nelle mani di pochi grandi attori, riducendo le possibilità di scelta per i cittadini.

In definitiva, invece di scaricare sui cittadini l’intera responsabilità delle calamità naturali, lo Stato dovrebbe investire nel miglioramento delle infrastrutture e nella prevenzione delle calamità naturali. Interventi come il rafforzamento di dighe e argini contro le alluvioni, edifici antisismici e altre misure necessarie, potrebbero ridurre in modo significativo i danni, senza gravare di nuovi costi i contribuenti.

Le risorse raccolte tramite la fiscalità dovrebbero peraltro essere destinate alla prevenzione e alla gestione dei rischi collettivi, come ha scritto Friedrich A. von Hayek, secondo cui: “Il compito principale dello Stato è stabilire condizioni generali di sicurezza, non controllare ogni dettaglio della vita degli individui”. Si avrebbe così in subiecta materia un approccio più equo e rispettoso delle scelte individuali, che eviterebbe anche quella distorsione del mercato che deriverebbe al contrario dall'imposizione di obblighi assicurativi.

Aggiornato il 23 settembre 2024 alle ore 13:31